mercoledì 10 dicembre 2008

Bianca neve in via Africa

Sandro e Gino erano fuori, coi ragazzi della via Africa, a giocare una partita di pallone che durava ormai da ore, intanto Briciola dormiva accucciata ai miei piedi, davanti alla tv spenta. Cuocevano i broccoli che la casa puzzava di morte quando aprii, malgrado il freddo, la finestra, quella che dá su via Resuttana, mentre dall'altra vedevo con la coda dell'occhio i bambini correre dietro al Super-Tele. Il cielo era di un rosa confetto simile ai ricordi del rosa anni 50 dei cappelli di mia madre, quando improvvisamente vidi quei fiocchi che cadevano dal cielo. Bianchi, candidi come i denti di Sandro, morbidi come le guance di Gino. LA NEVE? pensai incredula, anche Briciola si incuriosí per quelle strane presenze nel cielo. Si alzó stiracchiando prima le zampe anteriori e poi le posteriori, e si avvicinó ad annusare un fiocco bianco appena entrato dalla finestra aperta. Non appena col musetto sfioró la neve, inzió a starnutire, soffiare, mugolare come quando gli schiaccio la codina per sbaglio, di dolore. La cosa mi sembró strana. CHE SUCCEDE? BRICIOLA? Prendo il fiocco di neve tra le dita ed un prurito fortissimo mi infiamma la mano intera, poi inizia anche a bruciarmi la pelle, come quando per caso ti schizza sopra l'olio della padella. Mi affretto a chiudere la finestra, cercando di schivare i fiocchi di neve entrati nel frattempo ed un pensiero si fa strada nella mia testa, un pensiero che mi fa rabbrividire piú di mille inverni palermitani: il pensiero di Sandro e Gino in via Africa. Mi giro di scatto e dall'altra finestra vedo tutti i ragazzi, quelli che fino ad un attimo prima giocavano a calcio, contorcersi e gridare, piangere e cercare un riparo. Non riesco a riconoscere i miei figli. Indosso un impermebile ed esco; dalla porta entrano fiocchi trasportati dal vento.

martedì 2 dicembre 2008

I 2 premier.

Ho fatto la cosa giusta. Me lo ripeto ogni volta che salgo sulla Maserati. Quando il mio culo coperto da lingerie La Perla poggia sulla ciclette computerizzata nel secondo salone. Quando il mio corpo di sedicenne viene penetrato dal premier. No. Non quel Premier, dio lo protegga e preservi. Da Giacomo Scafidi, capo rione a Ballaró diventato uno dei capi della cittá insorta. Giacomo si fa chiamare premier per sentirsi ancora piú potente, ma non ne avrebbe bisogno. Manco mi ero accorta di lui quando venne da mia madre a comprarmi. Non che fossi in vendita, ma lui mi aveva notata al negozio e aveva deciso che doveva avermi. Visti i tempi mamma mi ha venduto, certo non posso fargliene una colpa, e poi me l'ha anche chiesto ed io ho detto sí. Perché leggevo nel suo sguardo che era la cosa giusta da fare. Ora ho due collane di perle, tre pellicce, un anello Cartier originale e un orologio fatto a mano da uno svizzero, per il mio polso. D'oro bianco. Ho vestiti bellissimi e scarpe meravigliose. Faccio il bagno in piscina, tanto é riscaldata, e dalla terrazza vedo Palermo in fiamme. Oggi Giacomo non verrá, é con un'altra delle ragazze, cosí ho tempo per pensare. Mi limo le unghie dei piedi e improvvisamente penso a Nicola, l'ho piantato senza dargli una spiegazione. MI AMI? Chiedeva disperato, piangendo. SÍ, SÍ MA NON POSSIAMO STARE INSIEME. Gli dicevo io, e cancellai il suo numero dal telefonino. Poi le cose andarono veloci. Gli scontri al porto, iI gas, le piogge chimiche. Ma io ero quassú, che mentre gli altri morivano, mi facevo tagliare i capelli da Luis, a domicilio. Ho scelto il premier perché il premier é forte, il premier é bello, mi dá tutto quello che voglio. Una volta mi ha raccontato che ha stretto la mano all'altro Premier, quello vero, e la sua mano era freddissima. Ieri ho pianto.

venerdì 28 novembre 2008

Connessioni.

Mi bruciano gli occhi, mi fa male la testa e anche la mascella, per non parlare del fondo schiena, prendo un altro pó di Mesulid. Mi stacco dalla sedia di pelle nera, morbida, solo per andare a pisciare, ma poi torno al computer. Qualcuno da fuori mi porta un'arancina o una ravazzata, accompagnate immancabilmente da una gazzosa partannina. Io bevo, mangio e non stacco gli occhi dal monitor. Quello che sto facendo non lo faccio per i warriors, né per i liberisti, per nessuno tranne che per me stesso. Sono certo uno dei pochi che a Palermo possono collegarsi ad internet in questo momento, dopo i casini degli ultimi mesi. Ci riesco perché sono bravo, ho creato un ponte che mi permette l'interlacciamento con una rete wireless governativa, una delle poche che ancora sono attive, probabilmente grazie alla tecnologia satellitare. Ho creato una maschera di subrete che riesce a mantenermi anonimo, la indosso e mi getto nella ragnatela, per trovare maniere sempre piú efficenti di elaborare i dati. Ormai ci siamo. L'ho detto che ci sarei arrivato prima io. Era una lotta contro il tempo ma l'ho spuntata per un pelo. Adesso ho una formula e non mi interessa a chi la daró, che si ammazzino pure tra loro, coi soldi che mi pagheranno mi ci compreró tanto metadone. Io giá lo so come andrá a finire! A me non interessa. Mi ci compro il metadone e me lo sparo tutto qua, davanti al pc, davanti a qualche sito porno. Voglio morire a poco a poco trascinato dal metadone. E forse penseró ancora una volta a lei, a come mi ha ingannato. Sono passati cinque anni e mi brucia come fosse ieri. La formula é quasi pronta, per domattina sará completa. Mi sto appoggiando ad un server sociale che mi permette di elaborare le informazioni ad una velocitá notevole. Ora vado, che devo vomitare.

martedì 25 novembre 2008

Tu veux ou tu veux pas?

Giá. Non aggiorno il blog da tempo. Sará colpa del mio nuovo lavoro, che solo adesso sto cominciando a metabolizzare, o del viaggio in Asia che mi ha lasciato una matassa di ricordi difficili da dipanare? O magari é colpa del mio ultimo viaggio a Palermo, in cui ho impiegato tutto il tempo a impacchettare le tracce del mio passato e catalogarle e ordinarle, a casa della mia defunta e amatissima nonnina? Un passato ingombrante e difficile da trasportare, un passato intenso e ricco di orme e direzioni. O magari é solo una fase di transizione in cui la mia creativitá é in stallo e aspetta nuove idee da sviluppare e raccontare. Possono essere anche tutte queste cause, o magari nessuna di esse, chi lo puó dire? In ogni caso vi lascio con un divertente video di una canzone francese che mi piace molto. Se lo trovo in vinile lo compro...

venerdì 7 novembre 2008

Libera Societá del Dissenso.

Anche da casa mia si vedeva il fumo, se ne sentiva l’odore. Lingue di fuoco salivano a spirale nel buio di corso Vittorio mentre la notte inghiottiva gl'incendiari e gl'incendiati. Sí, perché dentro la biblioteca c'erano persone, una comune per l'esattezza. Erano figli di imprenditori e bancari, operai e impiegati. Si erano barricati dentro dando vita ad una societá libertaria, senza servi né padroni. Passavano le giornate leggendo e accoppiandosi tra loro, mangiavano le cose che gli procacciavano i genitori o semplici simpatizzanti e se le facevano consegnare all'ingresso, nell'atrio della biblioteca, senza uscire fuori né fare entrare altri dentro. Davanti all'ingresso principale avevano issato uno striscione con la scritta "Libera Societá del Dissenso". Giá prima dell'insurrezione non importava a molta gente del patrimonio culturale della cittá. Immaginatevi dopo, quando la prioritá era procacciarsi un piatto di pasta o una pistola! Bé, proprio allora un gruppo di giovani uomini e donne fece a pezzi la serratura della biblioteca e ivi si trasferí. Non erano molti all'inizio, ma a poco a poco il loro gruppo si allrgó considerevolmente. Per entrare nella Libera Societá del Dissenso dovevi portare un tuo contributo, che poteva essere una canzone, un dvd, una poesia o una cosa che non avesse nulla a che vedere con il calcio. La cittá era fuori controllo e i gruppi organizzati la razziavano in cerca di cibo o benzina mentre dietro le porte della biblioteca la Libera Societá del Dissenso metteva in pratica il poliamore. Sembra un controsenso, ma in fondo penso sia stata una cosa bellissima. Almeno finché é durata. Adesso la biblioteca é in fiamme e coi libri e i giornali sta bruciando anche un sogno.

domenica 26 ottobre 2008

Guerra.

Se fossi un vero dottore saprei curare la gente, ma non sono un vero dottore, quindi mi limito a non farla morire. Faccio quello che posso. Ho solo fatto un corso di pronto soccorso, niente di che, ma per suturare una ferita mi basta. Non ci vuole grande arte. Oggi mi hanno portato questa donna. Doveva avere una trentina d'anni. Stringeva ancora tra le mani due sacchetti pieni di riso e pasta. Tutto mischiato. Comprato al mercato nero in corso Olivuzza, ne sono certo. Aveva la fede al dito. Non so perché ma mi fisso sempre su questo particolare. Quando la posarono sul tavolo non sembrava granché ferita. La giro e la rigiro, ma non vedo quarci o fori di pallottole. Le tocco la nuca, con precauzione. Spesso quando ti sparano alla nuca le pallottole sbattono sulle ossa del cranio e non fuoriescono dall'altro lato. In quel caso hai buone possibilitá di salvarti. Magari con solo un'emiparesi facciale. La donna peró non presentava ferite alla testa. Non sono un dottore e non posso fare una diagnosi, ma mi rendevo perfettamente conto che il cuore batteva sempre piú piano. Quasi impercettibile. I suoi capelli erano tinti, se le vedeva la ricrescita bianca e le dita che stringevano i sacchetti perdevano la loro forza. La sua pelle perdeva colore. A vista d'occhio. non sapevo che fare e le iniziai una disperata respirazione artificiale. Quando posai le labbra sulle sue mi assalí una zaffata di orribile odore. Vedevo il suo petto alzarsi e abbassarsi ma mi resi conto che era giá morta. Mi sedetti e accesi una sigaretta. Non sono un vero dottore ma se qualcuno mi crepa tra le braccia mi sento male lo stesso. Dovrei farci l'abitudine perché questa é una vera e propria guerra. Palermo é in guerra contro se stessa, io non sono un vero dottore e faccio una vita del cazzo.

lunedì 20 ottobre 2008

Il mio sogno palermitano.

Il mio sogno palermitano l'ho realizzato e adesso posso anche morire contento. Mi chiamo Francesco Scalia e tutti mi conoscono col mio soprannome Franz. La mia passione piú grande é sempre stata quella per le armi. Sin da piccolo. Quando mio nonno mi portava a caccia con lui amavo l'odore dell'olio che lubrificava il suo fucile, e quel rumore assordante e il movimento violento del rinculo che veniva assorbito dalle spalle possenti. Mio padre e mia madre non volevano che andassi , ma io piangevo finché non si convincevano. Quegli stronzi dei miei genitori, sessantottini di merda, fricchettoni. Passó il tempo e giá mio nonno mi faceva sparare quando iniziai a capire bene come va il mondo. Ad una bancarella in via Roma comprai una copia sbrindellata di un libricino che mi avrebbe cambiato la vita: Orientamenti di Julius Evola. Da allora feci un pó il giro di tutte le organizzazioni politiche della cittá, quelle di estrema destra, ovviamente. Passó il tempo ma mi resi conto che non era quella la mia strada, troppe parole, troppi compromessi. Mi chiudevo in me stesso, mi rattristavo. Fu allora che conobbi una ragazza. Il suo nome era Alba, aveva un naso pronunciato ma delle tette fantastiche. Grazie a lei capii che non dovevo seguire gli altri, ma dovevano essere gli altri a seguire me. Iniziai cosí a lavorare come un forsennato e presi anche a studiare ju-jitsu. Coi soldi che mettevo da parte compravo armi. Poi anche Alba imparó a sparare. Facevamo l'amore distesi su un letto di pistole e fucili da caccia. Poi andó via con una borsa di studio e non tornó mai. Intanto l'arrivo dell'insurrezione non mi colse impreparato. Adesso ho una decina di camerati da dirigere, non ho piú tempo di pensare ad Alba. Adesso sparo sulla gente, non piú sugli animali. Sparo e uccido.

sabato 18 ottobre 2008

Nicola dal cuore d'oro.


Di tutti i miei amici italiani che vivono in Corea del Sud Nicola é il meno pazzo. Per questo tutti gli altri fanno affidamento su di lui, e lui gli risolve i problemi.
Nicola é generoso e ci crede veramente.
Crede nei suoi studi e nella sua passione. Appena finita l'universitá (lingue orientali) é riuscito nella difficilissima impresa di farsi sganciare una borsa di studio (lottando contro il nepotismo e l'oscurantismo dell'italico mondo universitario) e quando il suo professore gli ha chiesto: Nicola dove vuoi fare il dottorato? Lui senza remore ha risposto: So dove NON voglio farlo. In Italia.
Ed é partito per l'estremo oriente.
Nicola parla il coreano e il giapponese, e li parla bene. Molto bene.
Ci crede.
Lui crede che un italiano puó essere felice vivendo in Corea del Sud. Anzi crede che in italiano vivrá piú felice in Corea del Sud piuttosto che in Italia, e pensandoci bene non posso dargli torto.
Ma torniamo all'uomo.
Nicola é una persona che ti mette di buon umore. Sorride sempre e mangia per tre. Non a caso ha messo su un pó di chili da quando vive a Seul.
Tutto questo mi permette di fare una veloce digressione sul cibo coreano, che, tanto per cominciare, é buonissimo.
In Corea si mangia a tutte le ore. La colazione solitamente é salata, non dissimile dal pranzo, dalla cena e dai vari spuntini. I dolci non incontrano i gusti dei coreani e le poche cose dolci che cucinano vengono consumate a mò di snack. Nicola mi ha confessato che i coreani, per esempio, odiano il cioccolato.
Il cibo tipico della Corea é il kimchi (una sorta di accompagnamento a tutti gli altri pasti, a base di foglie di verza lasciate macerare con aromi vari e peperoncino), normalmente lo portano prima del pasto vero e proprio insieme ad altri stuzzichini che vengono riportati quando terminano. Poi di solito si sceglie un piatto per ogni commensale e non é infrequente o maleducato provare direttamente dalle ciotole degli altri. Spessissimo vedrete al centro della tavola, una sorta di fornello, su cui viene cucinato il cibo direttamente dai commensali e Nicola in questo é un esperto.
L'unica cosa che non ha mai mangiato é il bushidan, la famosa zuppa di cane, che in Corea viene consumata in ristoranti spogli e oscuri, dai vetri appannati, quasi di nascosto, da attempati sognori che sperano che quel pasto rinvigorisca la perduta potenza sessuale.
Nicola adora i mandhu, cioé ravioloni ripieni (normalmente o di carne o di kimchi) e mi ha portato nel migliore ristorante di Seul. Un palazzo di due piani dove fabbricano i ravioli uno per uno a mano, con materiali di primissima scelta e rara maestria.
Nicola ha un cuore grande, dicevo, e non si nega mai quando si tratta di aiutare qualcuno.
É capace di rischiare tutto, anche la sua preziosissima borsa di studio e quindi il visto pur di aiutare un amico, e l'ha fatto.
Ah, dimenticavo, Nicola ha una minchia di dimensioni mostruose. Avreste dovuto esserci nelle saune coreane con noi, quando gli avventori indigeni si ritiravano imbarazzati al suo regale passaggio!

lunedì 6 ottobre 2008

Boogie Woogie - Luca's story.


Immaginate un ragazzo coreano, che vi guarda con un'espressione un pó perduta, fintamente fessa e poi inizia a sciorinare il dialetto romanesco piú trucido. Immaginatelo muscoloso e circonciso ed ecco che si materializzerá davanti i vostri occhi proprio lui: Luca, il protagonista di questo breve scritto.
Luca non lo sa ma gli devo molto.
La sua natura schietta e vernacolare mi ha fatto assaporare attimi di autentico cameratismo come non ne passavo dai tempi dei boy scouts (ebbene sí, ono stato un lupetto anch'io). Luca é molto piú italiano che coreano, a parte le fattezze orientali. I suoi genitori sono coreanissimi ma lui é nato e vissuto a Roma, dove la sua famiglia gestisce un ristorante ed un piccolo albergo. Alla maggiore etá ha deciso di fare il servizio militare a Seul (due anni di durissimi allenamenti e prove fisiche, non dimentichiamo che la Corea del Sud é ancora in guerra con la Corea del Nord) e lí é rimasto anche dopo, alla ricerca di se stesso, delle sue origini.
Con Luca mi sono divertito, ho potuto vedere da vicino la vita notturna di Seul e conoscere alcune usanze che altrimenti mi sarebbero state neglette in quanto occidentale.
Luca é ossessionato dalle donne. Nel giro di un mese ha spezzato il cuore della sua procace fidanzata e "conosciuto" altre due o tre pischelle facendo boogie woogie nei club trace o hip hop di Seul.
Ecco, quella del boogie woogie é stata una scoperta, che senza Luca non avrei mai fatto.
Dovete sapere che i coreani sono un popolo strano, molto conformista, assolutamente rispettoso delle regole e delle gerarchie, educato e parecchio riservato. Vi stupirete di quanto é pulita Seul, ma vi stupirete ancora di piú quando vi renderete conto che lí non c'è nemmeno un cestino dei rifiuti per le strade. Dove gettano al spazzatura i coreani? Questo forse é il grande mistero del mio viaggio in Corea.
Dicevo del carattere coreano. Beh, in effetti non é affatto facile pensare come possano arrivare a conoscersi e amarsi da quelle parti. Le occasioni d'incontro tra uomo e donna non sono molte e l'innata timidezza di quella gente li porta a lunghissimi innamoramenti e corteggiamenti impossibili, che spesso si risolvono in anni e anni di astinenze e rinuncie.
Ma ecco il boogie woogie.
Per fare boogie woogie gli ingredienti principali sono: una discoteca, un uomo e una donna. Dentro l'ingrediente 1 la musica imperversa a tutto volume mentre l'ingrediente 2 balla con la sua birra in mano. Ma ecco che entra in scena l'ingrediente 3, che si muove sinuosamente in pista. Premetto che la donna in Corea non va mai sola, la troverete sempre accompagnata da un'amica. Torniamo all'ingrediente 2. Si avvicina al 3 e inizia la sua danza di seduzione che consiste in questo: il ragazzo di turno si piazza dietro la ragazza e inizia a ballare strusciando il suo corpo su quello di lei. I due praticamente non si scambiano neanche uno sguardo (del resto la posizione lo impedisce). L'amica dell'ingrediente 3 la avverte se il corteggiatore é un bel tipo o un freak di merda e la cosa va avanti finché si finisce a un hotel a ore. In caso l'amica disapprovi, l'ingrediente 3 semplicemente va via e lascia il 2 solo in mezzo alla pista.
Ma in questo Luca non fallisce un colpo. Il boogie woogie lui l'affronta con spirito assolutamente italiano e sempre, sempre riesce a catturare una preda.
Il problema é quando, il giorno dopo, da sobrio si rende conto che la preda in realtá era lui e che l'ingrediente 3 era di qualitá decisamente scadente.
Ecco che a quel punto Luca scappa nella notte. Come un vampiro, alle prime luci dell'alba ricerca il suo sepolcro. Ma il giorno dopo, senza colpo ferire, eccolo di nuovo con la birra in mano nel mezzo di una pista da ballo, strofinandosi con le sconosciute.
Grande Luca. Sei un eroe e non lo sai. Sei veramente un eroe!

Moreno e Framore.


domenica 5 ottobre 2008

Framore o della dualitá.

Arrivo a Seul e mi accoglie Francesco, un ragazzo palermitano che non avevo mai visto in vita mia. Cambiamo i soldi, prendiamo un thé verde freddo in un negozietto che é al contempo caffetteria-giornalaio-tabaccaio e mini market e saliamo sul bus che ci porta verso il centro. Davanti a un bibimbap (riso con verdure, uovo e una salsa dolciastra e leggermente piccante) inizia un'amicizia. Francesco mi spiega di avere conosciuto la sua fidanzata coreana attraverso skype (ma in epoca non sospetta, quando ancora il software non era stato inglobato dalla multinazionale facente capo a eBay e Paypal) e mette in chiaro la sua passione per internet e lo sconfinato mondo del web. Il suo nickname é Framore e anche se io preferisco chiamarlo Ciccio devo dire che mai nome fu piú appropriato.
Analizzando un attimo in maniera assolutamente non scientifica l'etimologia del suo nickname vorrei sottolineare la seguente lettura:

FRAMORE = Fra(te)+Amore un composto endocentrico con riaggiustamento fonetico della vocale a.

In effetti la natura di Framore é duplice, ma di una duplicitá non contraddittoria.
Da una parte c'è la spinta mistica al raccoglimento interiore, alla ricerca di se stesso, al congiungimento col divino rappresentata dalla parola frate.
Al contempo la parola amore si fonde con la prima dando una connotazione non piú mistica e ascetica, invece passionale, terrena e in ultima istanza sensuale.
Possono convivere queste due facce della stessa medaglia? E se la risposta é affermativa, come potranno mai coesistere due spinte interiori cosí diverse e contraddittorie?
Per capirlo bisogna staccarsi dalla visione manicheistica occidentale che ci fa vedere il mondo diviso in categorie nette e contrapposte (bene-male, buono-cattivo, bianco-nero) ed abbracciare un punto di vista taoista, dove la complementaritá degli opposti é la pietra angolare dell'armonia cosmica che regola l'universo.
Ciccio é una persona tranquilla, va al tempio zen e crede nell'esistenza di Cristo, non mangia carne e medita nella stanzetta minuscola che ha preso in affitto in un pensionato universitario a Sinchon. Ciccio é una persona che ha raggiunto la pace interiore, quando peró non c'è lo sticchio nel mezzo. La seconda parte del suo nickname lo dice. Fr-Amore. L'amore gli sconvolge i piani, gli confonde le prospettive, lo sbatte di qua e di lá in un osceno ping pong lubrico in cui é solo la pallina dentro un gioco molto piú grande di lui.
E Ciccio soffre questa dualitá violenta, non si riconosce allo specchio, cerca conferma di sé fuori da sé, in corpi veloci e sguardi profondi, fatti di desiderio e istinto.
Ciccio soffre perché ancora non sa accettare la sua armonia, perché Ciccio é in armonia, Framore e Ciccio non sono due persone diverse ma la stessa identica persona. Ciccio é innocente ma non dell'innocenza in fondo colpevole del dottor Jeckill (che ha creato il mostro sfidando con la scienza le leggi divine), Ciccio é innocente e basta. Ciccio é sincero, ma la sua sinceritá é zen, non sceglie. Cambia seguendo delle leggi imperscutabili che FRA-more dovrebbe credere per fede, non opporvisi.

Non ho capito tutto questo da un semplice bibimbap. Ho frequentato Francesco assiduamente e con lui sono stato per la prima volta al ginchilban, una sorta di palazzo al cui interno ci sono saune, piscine di con bagni di acque a differenti temperature, posti dove rilassarsi e ricevere massaggi e finanche stanzoni in cui dormire placidamente cullati da profumi e aromi.
In Corea si dice che se vai al ginchilban con qualcuno quella persona diventerá un tuo amico speciale. Non so se Francesco l'abbia fatto apposta, ma adesso dovrá accollarsi le conseguenze...

sabato 4 ottobre 2008

Sentirsi un po' Moreno.

Moreno non é una persona, non é un personaggio, é una sensazione, un modo di fare.
Potrei dire: "Oggi mi sento un po' Moreno" , oppure "Se fossi un po' piú Moreno potrei anche innamorarmi di te". Non dovete peró farvi fuorviare dal fatto che la parola "moreno" in spagnolo é un aggttivo che significa "scuro", perché Moreno non é affatto un sentimento tenebroso o buio. Moreno é lo scatto di vitalismo appassionato, l'impeto che scardina le certezze, l'elettrone impazzito che diventa radioattivo. Sentirsi Moreno vuol dire esserci.
Ma non é solo questo.
Sentirsi Moreno vuol dire anche mettersi in gioco, e a volte non vale la pena mettersi in gioco se la posta non é abbastanza alta. Ma quando ti senti Moreno questo non lo penserai mai. Rischierai. Rischierai di scommettere tutto e ritrovarti con un pugno di pesos se vinci. O perdere tutto se sei sconfitto.
Moreno non vive senza regole. Moreno le regole le puó anche seguire e rispettare, ma é sicuro che non le rispetterá per sempre. Verrá il momento in cui succederá qualcosa, non si puó prevedere se sará una cosa importante o futile, e Moreno spezzerá tutte le catene e convenzioni sociali e manderá tutto all'aria, senza la paura del giudizio della gente e correndo il rischio di dovere ricominciare tutto da capo in un altro luogo.
Moreno é passione, fisicitá, sesso, istinto e molto pelo. Riuscirá mai a fermarsi? Riuscirá mai a terminare qualcosa? Riuscirá a dire di no? Risucirá a risparmiare? Riuscirá a rinunciare a vivere?

VIVERE VIVERE VIVERE
VIVERE
STOP
Adesso un massaggio
e un sorso di Jack Daniels
appena svegli
come a scuola
l'odore delle bonghe

martedì 30 settembre 2008

Il mio viaggio in Asia.

Care amiche ninfomani, cari squilibrati, sessuopati, drogati, derelitti e alcolizzati, finalmente sono tornato. Finalmente per voi? O per me? Boh! In ogni caso sono tornato nel vecchio mondo, con un carico di nuovi ricordi e nuove storie. Dopo questa pausa di riflessione cosa cambierá nei miei racconti? E il mio stile? Si fará piú aulico? La smetteró una buona volta di parlare solo di sesso e morte? Non credo ai miracoli, continueró a fare quello che mi pare e scrivere come mi pare.

Un affettuoso abbraccio agli amici all'estero e soprattutto a Moreno, Francesco, Luca, Nicola, Kion-wo, Youn-Mi, Erica, Anacorita, Sebastiano, Andrea e Gino. Ci vedremo tutti a Manila.

lunedì 18 agosto 2008

Libertá o morte.

Ho vissuto tutta la mia vita da leader. A scuola anche se non ero bravo come Pipitó lo superavo in altezza e supponenza, cosí malgrado la qualitá del suo greco fosse superiore prendevo voti piú alti. Ero il primo della classe ma non per questo rinunciavo allo sport. Appassionato di calcio arrivai ad entrare nei pulcini del Palermo, e forse avrei anche sfondato se non fosse stato per una lesione ai legamenti crociati che mi costrinse ad un riposo forzato. Avevo circa 16 anni e mi sembrava di impazzire, solo in agosto tra le sale barocche della villa Costanza, recente acquisto dei miei ricchi genitori. Cosí, quasi per gioco mi iniziai ai misteri dell'economia. Non c'era nulla da leggere in casa, a parte i testi universitari di mio padre, ed ecco che partii dalle basi: teoria dell'economia, diritto pubblico, statistica, economia aziendale e principi di contabilitá. Quell'estate fu la piú bella della mia vita, malgrado la gamba dolorante un universo dorato si stava aprendo davanti ai miei occhi. Dedicai il resto dei miei studi proprio a quell'affascinante materia, pur non rinunciando alla cura del mio corpo e a qualche effimero piacere della carne. La mia carriera la conosce di sicuro, il mio nome spesso é menzionato dai periodici locali e nazionali. Sono un uomo di successo, sono un leader, era ovvio che avrei approfittato dell'insurrezione come ho approfittato del rincaro del greggio. Non deve, non puó giudicarmi, non ne ha il diritto, io sono un leader e se mi spara che ne sará di tutti loro? Dobbiamo rilanciare l'economia. Anche sua figlia era d'accordo, mi ricordo del suo entusiasmo e ottimismo. Una vera attivista. La sua perdita ci ha segnato moltissimo, é stato un vero crack, ma le assicuro che laveremo la sua morte col sangue. Parola di Graziano. Libertá o morte.

Costretto a sparare ancora.

Cosa si deve aspettare per sparare? Cosa si deve aspettare per premere il grilletto e poi voltare le spalle e andarsene? É una sensazione indescrivibile, elettrizzante. L'idea precisa di stare annullando la vita di un altro uomo é qualcosa di tremendamente grande e immenso che mi fa sentire vicino a dio. Che mi fa sentire proprio come lui. A sua immagine e somiglianza, cosí dicono, vero? Ed era cosí facile... Come ho potuto aspettare tutto questo tempo?
Guardo da fuori le ombre che si allungano mentre monte Pellegrino si illumina di una luce rosata e non penso a niente. Ho la mente vuota. Mi sento freddo come un ghiacciolo alla menta. Accendo una N80. Mi perdo nella contemplazione del nulla, come se mi fossi scollegato dalla vita qualche minuto, tanto che la sigaretta é giá alla fine e quasi mi brucia le dita. Sento che ci siamo. Vuole risalire. Il ricordo. Il ricordo di Tina si sta facendo strada nella mia testa. Mi sento i brividi e cerco di controllarmi. Mi sforzo a tenerlo lontano, ma so che prima o poi ce la fará a risalire perché non sono abbastanza forte, anche se ho la pistola.
Maledette elezioni. Me l'aspettavo che sarebbe successo qualcosa, ma non credevo che saremmo arrivati a questo punto. E ormai tutto é fuori controllo.
Se non fosse per Giada giá l'avrei fatta finita. Ma lei sta malissimo. Dalla morte di Tina ha iniziato a lasciarsi andare e senza di me nessuno si prenderebbe cura di lei.
Un mugolio soffocato mi risbatte in faccia la realtá. Lui é in un lago oscuro di sangue, ha gli occhi chiusi e la bocca spalancata ma non é ancora morto. Sta cercando di dirmi qualcosa. Deve essere importante perché si sta sforzando da un po'. L’unica cosa che riescoa catire é “minchia”. Sono costretto a sparare ancora.

Il racconto dello scialacquatore.

Ho vissuto buona parte della vita da scialacquatore. Non sono vecchio, ma in pochi anni mi sono sparato tutta l'ereditá della zia Licia. La proprietaria dell'Hotel Principe e di Villa Igiea. In realtá ho sperperato un partimonio in minchiate. Qualche cattivo investimento e molti regali. Visto che ero brutto come una scimmia mi sono anche fatto rifare nuovo dal chirurgo platico. Liposuzione, una grattatina agli zigomi da pellerossa, la seria riduzione della proboscide e in ultimo un allungamento del pene (che in realtá mi ha provocato piú problemi che gioie). Cambiai amicizie dopo l'ereditá. Iniziai a frequentare donne bellissime, ricchi parvenu russi, qualche aristocratico decadente, annoiati rampolli di buone famiglie, politici rampanti e alti prelati. Tutti inevitabilmente tristi e cocainomani. Mi restava poco del patrimonio ereditato e giá iniziavo a nutrire serie preoccupazioni per il mio futuro da scialacquatore quando all'improvviso Graziano mi disse che avremmo dovuto organizzarci per fare fronte agli eventi. Ed eccomi nel direttivo. Non che facessi molto altro a parte organizzare feste, ma ero importante all'organizzazione. Mi portarono Tina dopo un privé, ancora intontita dall'alcol e dalle droghe. La ripulii tutta, le diedi un letto nella stanza che chiamiamo l'harem (lo so é un nome orribile, adesso me ne vergogno) e mi presi cura di lei. Era diversa dalle altre, sempre nel suo mondo, sempre con la testa tra le nuvole. Non c'entro niente con la sua morte, anzi, per essere sincero non sapevo nemmeno che fosse morta. Mi dispiace e le faccio le mie condoglianze. Adesso peró non ci pensi piú. Dobbiamo risanare l'economia per potere risollevarci. Ci vuole ottimismo. Non sarebbe capace vero? Di utilizzare quella pistola, dico...

giovedì 14 agosto 2008

Il vero folk.

Il vero folk non é Rosa Balistreri, Shirley Collins, Amalia Rodriguez, né tantomeno La Nuova Compagnia di Canto Popolare, gli Inti-illimani o la Albion band. É tutto cosí puro... Fatto di gente che non caca. Fatto di esseri sublimi e angelici.

martedì 5 agosto 2008

Il racconto dello svizzero.

Ho vissuto tutta la mia vita da svizzero. Sveglia alle sei e mezza. Toeletta, poi al bar di Pino per la prima colazione. Sempre la stessa ormai da 30 anni: cornetto e latte macchiato. Dolce. Molto, molto dolce. Poi al lavoro fino alle sette. Nelle 2 ore di buco andavo al bar Costa, mangiavo un piatto di anelletti e leggiucchiavo il sicilia. Mi piace la precisione, mi piace l’ordine, mi piace la pulizia. Una volta a casa dopo il lavoro o nel fine settimana, pulivo tutto. I mobili tirati a specchio, le piastrelle lucenti, i pomelli, uno per uno, brillavano come stelle. Come sono diventato liberista rivoluzionario? A ripensarci non me lo so spiegare. Per paura, credo, perché mi resi conto che era meglio affiliarsi a qualche gruppo e visti i miei trascorsi in banca mi sentivo piú corente come liberista. Iniziai ad andare alle riunioni, poi mi imbarcai volontario negli azionisti. I gruppi di azione che vanno in giro per la cittá. Il mio compito era la propaganda. Scrivevo volantini, stampavo manifesti, inventavo slogan. La mia precisione e i miei modi ineffabili piacquero al premier Graziano e mi attirarono le invidie e i rancori dei soci piú anziani. Graziano mi confidó che ero l'azionista numero due, solo al di sotto di Anello e che per questo mi meritavo un regalo. Quel regalo era tua figlia. Mi portarono Tina vestita con un toppino inesistente e una minigonna davvero succinta. Misero su un cd di Venditti costringendola a ballare un'oscena danza erotica. Mi sentido a disagio in quella situazione, ma non potevo fare altrimenti, Graziano stava lí a mio fianco pronto per giudicarmi. Le giuro che non l'ho uccisa io, poverina! Poi le confesso che a me le donne nemmeno piacciono, sono sporche, se no perché si metterebbero tutti quei profumi?

Il racconto del parassita.

Ho vissuto tutta la vita da parassita. Un penoso lavoro di portinaio in uno stabile di via Danimarca, poi finalmente, dopo tanti sforzi una falsa pensione di invaliditá. A quel punto ho abbandonato il lavoro per dedicarmi al mio interesse maggiore: la pornografia. A casa ho una collezione di 5000 videocassette porno di tutti i generi. Passavo le giornate in giro per i videonoleggi, alla ricerca di qualche titolo interessante e quando lo trovavo andavo subito a casa a copiarlo. Gli anni sono passati ed arrivó l'epoca di internet e del dvd. Cercavo di stare al passo coi tempi ma alla fine la buona vecchia vhs restava la mia preferita. Vivevo le mie giornate seguendo il ritmo inesorabile dell'onanismo, cullandomi in un mondo plastificato fatto di silicone e bukkake. Col tempo gli acciacchi iniziarono a colpirmi e se non fosse scoppiata l'insurrezione la mia vita non sarebbe mai cambiata. Ma arriviamo al punto. Il giorno dopo le elezioni mio cognato mi dice che la cittá é in rivolta. Devo prendere una decisione e mi lascio travolgere dalle sue parole. Divento un liberista rivoluzionario. Conosco gente. Esco di casa. Inizio anche a masturbarmi di meno. Eravamo a Mondello, stavamo innescando la bomba che avrebbe distrutto la statua della Sirenetta, quando un urgente bisogno prostatico mi obliga a defilarmi. Sulla spiaggia c'é Tina, é sola, ha lo sguardo spaurito, ma mi invita a sedermi con lei a guardare il mare. Ci amiamo lí, senza tabú, senza paure. Poi la porto via con me, alla sede. Io la trattavo bene, le davo da mangiare, e prima di partire dissi agli altri di fare altrettanto. Che ne sapevo... Che ne sapevo che l'avrebbero ammazzata!!! La prego, abbassi quell'arma adesso... Io non c'entro niente, io a sua figlia l'amavo...

giovedì 31 luglio 2008

La strada verso casa.

Non sarei nemmeno tornato in cittá. Non dopo quello che avevano fatto a Tina. Fu Giada a farmi preoccupare. Non poteva continuare a dormire in giardino, davanti al tumulo dove ho sepolto nostra figlia. Non mangiava da giorni e a malapena beveva un bicchiere d'acqua, non piú di uno al giorno. La sua pelle si era ustionata sotto il picco del sole, bruciata seguendo i contorni rotondeggianti dei vestiti. Anche io stavo perdendo la testa e questo non potevo permetterlo. Ci diedero un passaggio dei contadini che portavano ravanelli e angurie. CHISTI I PAVANO CULL'ORO! Dicevano soddisfatti arricchendosi al mercato nero. Ormai in cittá il denaro non valeva piú nulla o quasi. Lo stato centrale, ció che ne rimaneva, aveva lasciato la cittá in balia dei disordini, focalizzando come prioritario l'intervento nella penisola. E senza ormai aerei e navi a rifornirci i siciliani dovevano arrangiarsi con quello che c'era. Giada non prununció parola durante tutto il tragitto e nemmeno io avevo voglia di parlare. Mentre mi si aprivano davanti i gialli paesaggi madoniti pensavo solo ad una cosa: la vendetta. Volevo eliminare quelli che avevano fatto del male alla mia bambina. La mia piccola Tina, la mia bellissima. Li volevo fare a pezzi con le mie mani e vederli soffrire. Immaginavo torture sofisticate e dolorose. Poi vidi per la strada un padre e un figlio. Erano ridotti male, i piedi nudi e scorticati, i vestiti bruciati. Guardai gli occhi inespressivi di Giada e capii che vendicarmi non sarebbe mai stato abbastanza. Non poteva ridarmi quello che mi avevano tolto. Anche quel padre e quel figlio avevano perso qualcosa. Arrivati in via Brigada Verona i contadini ci salutarono regalandoci mezza anguria. Mentre aprivo il portone vidi Giada che mangiava l’anguria, forse non tutto é perduto.

Elegia madonita.

A Blufi, mentre sto scavando ormai da piú di 2 ore non faccio altro che pensare a mia figlia. Me l'hanno ammazzata. Me l'hanno ammazzata. Non posso fare a meno di ripeterlo, peró, nello stesso tempo riesco anche a focalizzare altre cose: e elezioni, le repentine trasformazioni che ha subito Palermo in poche settimane, i giovani e vecchi che hanno abusato di Tina per giorni e giorni, ma non giungo mai ad una conclusione. Cosa potrei fare? Cosa fareste in una circostanza come questa?
Mia moglie ormai non parla quasi piú.Mi voleva addirittura impedire di seppellire Tina. TIENIAMOLA UN PO' QUI CON NOI. Ricordo il suo sguardo implorante e pieno di speranza quando mi chiedeva questa cosa assurda.
Per non sprofondare nel vortice del dolore cerco di fare il punto della situazione.
Il sole é ancora forte, malgrado siano giá le 8 di sera. Ho le mani indolenzite e stanotte la schiena non mi fará dormire. Me l'hanno ammazzata.
Secondo le informazioni che ho raccolto grazie alle amicizie ultrá del portiere del mio stabile, Tina é stata prelevata direttamente a scuola, in una retata il giorno successivo alle elezioni, poche ore dopo lo scoppio dell'insurrezione. Non fu l'unica, se ne portarono qualche decina, scegliendole accuratamente. Secondo gli Ultrá i rapitori erano gli sbirri, ho qualche dubbio in proposito, peró é un dato di fatto che frange estremiste delle forze dell'ordine, almeno all'inizio dei disordini, si sono compattate per destabilizzare la cittá e instaurare un governo armato. Erano quelli immediatamente meglio organizzati, coi loro capi abituati al comando e le armi pronte per sparare.
Ora fa piú fresco, malgrado la canottiera sia un tutt'uno con la schiena. Adagio il corpo di Tina nel fosso ed esco fuori. Il sole é una palla del colore del sangue mestruale.

venerdì 25 luglio 2008

Tavola per tre.

Leggo i titoli del giornale appizzati con lo scotch nei pali della luce. Sono ormai vecchi, la carta é gialla, i bordi arricciati dal calore. In mezzo a via Libertá i platani abbattuti mi sbarrano piú volte la strada cosí sono costretto a scendere dalla bicicletta. Arrivo in piazza Massimo verso mezzo giorno. Il sole a picco non risparmia nemmeno la mia ombra. Falerio ancora non arriva. Dal teatro Massimo occupato campeggia una scritta su uno striscione: CT = AIDS. Il vento che scuote le bandiere nere e rosa mi fa arrivare l'odore appetitoso del pesce alla brace, ricordo che dovrei avere fame. Accendo una N80. Finalmente Falerio sbuca da una porta secondaria. SEI IN RITARDO. Gli dico. NON SI PREOCCUPASSE. Mi risponde. Poi chiama due ragazzetti con un cenno. Sono vestiti col completo del Palermo calcio. Trasportano un grande sacco della spazzatura nero. QUA C'È QUELLO CHE CI INTERESSA. Vado per aprire li sacchetto ma Falerio mi ferma minaccioso. PROFESSÓ PRIMA LE CHIAVI! Gli dó le chiavi del villino a Mondello e i due ragazzetti lasciano il sacco per terra e tornano dentro. BRAVO! BRAVO PROFESSÓ. Mi dice Falerio dandomi una pacca sulla spalla. VEDRÁ CHE VINCEREMO E PRIMA O POI LA PAGHERANNO! Va via, ma a me non importa nulla. Apro il sacchetto ma trattengo a stento un conato. Gli occhi di Tina sono ancora aperti. É tutta colpa mia. Penso quando la trasporto sulla bicicletta verso casa. Non respira. Ogni tanto mi fermo sotto il sole e apro l'involucro. Ma lei é lí che mi guarda con gli occhi spalancati e non respira. Penso a dove la seppelliró. Penso che per me e sua madre qualcosa é irrimediabilmente cambiato. Finalmente arrivo a casa. Mia moglie ha giá preparato il pranzo. Mi fissa con uno sguardo allucinato. Ha apparecchiato per tutti e tre.

Di sasso.

Non esisto. Non vivo. Sono una pietra. Sono il pezzo staccato di una montagna. Sono forte. Non mi fa niente il sole, né il vento. Mi puoi prendere in mano e stringere tra le dita. Mi puoi usare per bloccare una porta. Mi puoi usare per zavorrare un cadavere o riscaldata posso curare i reumatismi. Sono una cura potenziale. Il peso é parte di me. Sono una pietra oggi. Potrei essere qualsiasi cosa, una pietra o qualsiasi altra cosa non cambia niente perché non vivo. Vedo quello che succede senza partecipare. Nessuno mi degna di attenzione perché non sono una bella pietra. Non ho una forma particolare, né un colore. Sono una pietra invisibile, delle piú mansuete.Mi piace essere una pietra perché non ho responsabilitá.Le responsabilitá sono degli esseri viventi.Mi chiedo se domani vivró anch'io.Non vorrei vivere.Non dopo avere visto lo scempio degli uomini. La razza peggiore. Ho visto la gente per le strade quando hanno rotto i ricevitori delle tv. Il mondo senza televisione. Non c'ero piú abituata. Mi resi conto di essere diventata una pietra moderna. Senza la Tv all'inizio mi annoiavo, ma poi mi rassegnai. Mi rilassai sul marciapiede ed iniziai a guardarmi attorno. Con paura ebbi una rivelazione. Non ero sola, c'erano migliaia di pietre attorno a me. Eravamo piú numerose degli uomini. Ah se solo fossimo vive gli avremmo fatto vedere noi! Invece no. Siamo condannate a stare ferme in un posto a guardare. Adesso sono giorni che non funzionano piú le televisioni e lo spettacolo lo fanno gli uomini, a nostro sollazzo. Sono tutti per strada. Palermo é piena di gente come per il festino. Qualcuno si diverte anche. Gridano slogan politici. Sono schierati gli uni davanti agli altri ma ecco una mano che mi afferra. Lo sapevo, non si puó fare una sommossa senza di noi.

giovedì 24 luglio 2008

Colpo di fulmine.

Ecco l'attrazione che le autoritá hanno proibito di esporre.

domenica 13 luglio 2008

Legge di mercato.

Ci si sveglia alle 4. Alcuni non vanno nemmeno a dormire, si portano i termos, ma io se non dormo non reggo. Ormai a casa non ho piú niente, metto le ultime cose in un paio di valige e scendo in piazza. Molti sono giá lí. Prima dell'insurrezione a quest'ora c'erano soprattutto negri e rumeni che cercavano di vendere telefonini, orologi e riproduttori mp3 rubati a qualche turista, ma adesso non ci sono piú turisti a Palermo, e nemmeno negri e rumeni. Sono scappati tutti dopo i roghi, e quelli che non ci sono riusciti, mio dio, sono stati messi in schiavitú.
Giá c'é passío in piazza, anche troppo direi. Ormai vengono da fuori, non é solo gente del quartiere. Riesco a trovare qualche metro quadrato libero accanto ad un ragazzo che sta dormendo sopra una montagna di scatole di simmenthal. Le venderá tutte, ne sono sicuro. Apro le valige e getto sul marciapiede la mercanzia. Sono per lo piú i vestiti dei miei figli, un paio di giocattoli superstiti e quello che resta dell'argenteria. Poca cosa. Albeggia. Qualcuno mi offre del caffé, ma senza zucchero. Piazzetta Ballaró si riempie. Qualcuno dá uno sguardo alle mie cose ma nessuno compra. Ormai é quasi ora di pranzo e ancora non ho venduto niente. Ho la gola secca e la pancia mi brontola. Il ragazzo che ho accanto vende una scatoletta di simmenthal a 4 euro ma io ne ho solo 2. Riesco a convincerlo a vendermene la metá. Nessuno compra, nessuno compra. Sono le 3 di pomeriggio, il sole e il caldo mi hanno bruciato le braccia e il torso. C’è chi resiste ma ormai quasi tutti hanno smontato. Mentre rimetto le mie cose in valigia riesco a rubare un paio di scatolette al mio vicino. Il pasto dei miei figli. Se tutto continua cosí, domenica prossima nella piazza di Ballaró metteró in vendita uno di loro.

Il battesimo del fuoco.

Io c'ero. Quando sbarcarono coi mezzi d'assalto al porto di Palermo. Quando entrarono coi cingolati in via Crispi. Quando sparavano i lacrimogeni dalle jeep. Io c'ero ed era il mio battesimo del fuoco.
Non so nemmeno io perché o contro chi combattevo, ma ero pronto a sacrificarmi, e come me molti altri giovani ultrá palermitani, gente abituata ai soprusi delle tifoserie avversarie, alle imboscate nei treni durante le trasferte, alle provocazioni delle forze dell'ordine. Ci chiamarono uno per uno a telefono la mattina dopo le elezioni. SIAMO ORGANIZZATI. Ci dissero. ABBIAMO ARMI. Arrivai alla sede con un ragazzo che avevo giá visto accoltellare un tifoso rosso-blu. Nino era il suo nome e aveva alle spalle una lunga storia di diffide e riformatorio. La sua bellezza accecante mi faceva rincoglionire, parlava solo dialetto ma io cercavo di imitarlo, goffamente. AMUNÍ. Anche quel giorno era accanto a me. Indossava una tuta adidas e un casco integrale. I suoi muscoli guizzavano sotto il tessuto sintetico e i pantaloni gli scolpivano un sedere fidiano. C'era caldo al porto e subito iniziarono a sparare lacrimogeni. DISPERDETEVI E NON VI SUCCEDERÁ NULLA DI MALE. Gridavano coi megafoni. Poi iniziammo a sparare. Eravamo mille, forse piú. Nino correva veloce. Saltó su una jeep dell'esercito. Io lo seguii. Lo vidi mentre lottava contro sei militari, solo e schiumante di rabbia. Mi gettai nella mischia pensando che forse, se fossi morto, Nino avrebbe pianto pensando a me. Mi stavano schiacciando la bocca col calcio d'un fucile e io ero eccitato, felice, quando vidi la testa di Nino esplodere baluginando al riflesso del sole. Un militare a bruciapelo gli aveva sparato in faccia un lacrimogeno. Tutto si fermó all'improvviso. Anche il mio cuore anche il mio cuore.

Carne in scatola.

I bagni di folla non mi sono mai piaciuti, ma almeno stavolta sarei stato il solo protagonista. Mi trovarono dentro l'Auchan di via Castelforte. Era stato razziato da mani professioniste, quello che restava era praticamente inutile, ma la fame mi spingeva a non fermarmi, cosí seminascosto sotto un'impalcatura divelta, trovai un pacchetto da 3+1 di scatolette di carne simmenthal. Non mi sembrava vero. Erano almeno tre giorni che non mangiavo, ci vedevo tutto appannato, le gambe mi si piegavano non reggendo il peso. Mi sedetti tra le macerie e la polvere e divorai la morbida gelatina senza nemmeno assaporare i pezzi di carne sfilacciata al suo interno. Stavo per aprire la seconda quando ebbi la netta sensazione di essere spiato. Da dietro una parete in cartongesso si fece strada una ragazza. Era giovane e carina, ma sporca e i suoi occhi erano del colore del mare. NON PICCHIARMI. Mi disse con un sussurro. HO FAME. Aprii la seconda Simmenthal e gliela porsi. La ragazza la inghiottí quasi per intero. La terza scatola mi premurai di dividerla in due parti. Mentre mangiavamo non potei fare a meno di notare le unghie sporche, i capelli arruffati e i graffi sulle braccia di lei. Doveva esserle capitato qualcosa di brutto... Stavamo lí, terminando la carne quando con un boato entrarono inferociti. GUARDATE! Gridó una voce. L'HA RAPITA L'HA RAPITA! Poi mi afferrarono mille mani. SPORCO NEGRO! LA PAGHERAI! Ma anche lei urlava, non sembrava affatto contenta di essere stata trovata. Mi lanció una tristissima occhiata di gratitudine e poi scomparve inghiottita dalla gente. TINA! TINA! Gridava un vecchio scosso dal parkinson.
Adesso é il mio turno. Stanno accendendo il fuoco sotto di me. Continuano a chiamarmi negro. Sporco negro. Ma io non sono negro. Vaglielo a spiegare che sono filippino

martedì 8 luglio 2008

Quello che succede.

L'unica maniera possibile per raccontare l'Italia, ma ancor piú Palermo, é la letteratura. Limitato il cinema, limitata la pittura, limitata anche la musica.
I racconti che scrivo, questi 1800 caratteri necessari e dimessi, mettono a fuoco la situazione di completa follia che impera attorno a noi. Non si tratta di surrealimo o qualche altro gioco intellettuale. Lo stiamo pagando noi. Lo stiamo pagando con la nostra vita. Una vita che ormai si compra con poco. Una vita che non vale un cazzo.

Per quanto possa sembrare strano non ho paura dell'insurrezione. Penso che sia l'unica soluzione possibile. Ho paura dell'accettazione, ho paura che la gente continui ad accettare di essere governata da grottesche caricature di delinquenti che nemmeno i film di serie z sono stati capaci di rappresentare peggio.
Ma certo, sono anche convinto, che come tutte le cose, anche l'insurrezione sarebbe vissuta dando il peggio di sé.

Quindi non scrivo storie fantascientifiche, non invento niente. Parlo semmai d'una dimensione altra, plausibile, in cui la gente, stanca di tutto, ha preso in mano la situazione. Una dimensione vicinissima, vivida; indosso i miei occhiali speciali e la vedo.

giovedì 26 giugno 2008

Memorie dal montacarichi.

Mi chiedo se qualcuno leggerá mai queste parole, scritte con lo sciroppo di tamarindo sulle pareti del montacarichi dell’ Auchan di via Castelforte. Il montacarichi, la mia prigione e la mia salvezza. Auchan, la mia fonte di sostentamento primario. Io, un laido cinquantenne sovrappeso. Cosa ci faccio qua dentro?Ci vivo, signori miei.É la mia casa, il mio rifugio.Lavoravo all'Auchan, ero l'addetto allo smaltimento dei rifiuti e quindi il mio turno era di notte.Quell’ingrato compito mi isolava dalla mia famiglia, l'orario era incompatibile con qualsiasi progetto, dormire di giorno mi faceva sentire un vampiro.Ero sull'orlo di una profonda, immane depressione quando ánnunciarono i risultati elettorali.Da subito le ronde iniziarono le razzie ed io sopraffatto dal terrore mi infilai nel montacarichi per scappare ad una folla inferocita.Una volta che i miei occhi si assuefecero al buio potei notare che tirando una corda il montacarichi saliva dolcemente verso un magazzino nascosto.Lá dentro c'era di tutto, conserve, pacchi di sale e pasta, formaggi, passolini e pinoli.C'erano anche una vecchia radio a galena e una lanterna ad olio.A quel punto feci un bilancio della mia vita e capii che non sarei piú uscito da lí.Mia moglie non nascondeva nemmeno piú i suoi amanti, per lo piú vecchi o alcolizzati, i miei figli passavano le giornate alla play e non mi salutavano quando entravo a casa.Poi, a quanto dicevano i notiziari, la cittá era diventata pericolosissima ed uscire poteva voler dire rimetterci le penne. Perché rischiare? Adesso che sono passate piú di 2 settimane peró ho capito. Quelle erano solo scuse. A me piace vivere nel montacarichi, ho anche manomesso i cavi perché nessuno mi possa riportare indietro. Mi piace perché sono una nullitá; mi piace perché ho paura di tutto.

mercoledì 25 giugno 2008

Noi siamo quello che mangiamo.

martedì 24 giugno 2008

Tina

Il fuoco, le esplosioni, le bande armate, via Brunetto Latini in fiamme. Che cazzo succede in cittá? Non puó esistere solo la morte, non puó esistere solo la sofferenza. E infatti questa é una storia d'amore. Lei si chiama Tina. L'ho vista sulla spiaggia, a Mondello. Era sola e l'acqua le bagnava i piedi. Guardava l'orizzone, con gli occhi spalancati. Il vestitino che indossava era azzurro e si confondeva coi colori del mare e del cielo. O forse lo confondevano le mie cataratte. Aveva i capelli lisci e neri, la pelle chiara. Non so perché ma il mio cervello andó in tilt quando vidi quelle lentiggini rosse sulle spalle di lei. Devo essere pazzo. I miei compagni avevano deciso di fare a pezzi la statua della sirenetta, io avevo coordinato l'azione, ma dovetti allontanarmi per un urgente bisogno fisico. La prostata. Ed ecco che vedo Tina, i suoi piedini bagnati dal mare e quelle adorabili lentiggini sulle spalle. Quando si giró verso di me era esattamente come l'avevo immaginata. Gli occhi neri spalancati che guardavano il mare. Non si scompose quando mi vide e solo dopo qualche istante, imbarazzato, mi resi conto di stringere ancora l'uccello tra le dita. Non si scompose, cazzo. Come se fosse abituata a vedere persone col triplo della sua etá che si reggono l'uccello a pochi centimetri da lei. Ma ecco che si alza, mi prende per mano. A me, propio a me! CIAO SONO TINA. La sua voce é calda come il formaggio del sofficino al formaggio. NON FARMI MALE. Poi la baciai sulla bocca. Certo avrá notato che la mia protesi dentaria non era incollata bene, ma sono sicuro che non importa. Lei mi amerá per quello che sono. Coi miei acciacchi, coi miei affanni. Perché sono umano, e come tutti ho una data di scadenza

domenica 22 giugno 2008

Napalm.

Un attimo di tregua. Mi fermo, respiro affannato, appoggio le spalle al muro. I miei compagni sono qui con me anche se non li vedo. Il fumo é giá alto, la strada sta bruciando. La strada sta bruciando ed é tutto bellissimo. Potrei raccontare di come abbiamo fabbricato il napalm con materiali casalinghi in un cortile a Bonagia o della resistenza contro l'esercito regolare dei dissidenti a porta Felice o della morte eroica di Nino Vigna. Invece no. Non mi va. Preferisco restare qui ad ascoltare le grida dei condomini e fumarmi la mia Merit in santa pace. Accendo. Tiro. Che buono il sapore del tabacco che si mescola all'odore dell'incendio. Sono contento. Contento dell'insurrezione e dei disordini. Non so perché ma sento che devo fare qualcosa, per aggiustare le cose. E non mi va di sbandierare slogan politici o cazzate, fare qualcosa é essenziale, per questo coi miei compagni abbiamo fabbricato il Napalm e dato alle fiamme via Brunetto Latini. Intanto era una via abbastanza piccola e ricca di vie di fuga. Poi c'era la sede dell'ufficio postale peggiore di tutta la cittá. Mi sentivo di merda ogni volta che c'entravo. Per una semplice raccomandata dovevi aspettare almeno un'ora, per non parlare di un pagamento o del ritiro di una pensione! Di certo perdevi tutta la mattinata. Vaffanculo all'ufficio postale di via Brunetto Latini. Vaffanculo ai cassieri, alla direttrice e a tutto il personale arraggiato e senza voglia di lavorare. Il napalm sta facendo il suo dovere. Domani. Domani vivremo in una cittá migliore. Esulto. Sento il principio di un'erezione. Ho un'idea. La proporró all'assemblea. Distruggere le strade di Palermo che contribuiscono a rendere invivibile questa cittá. Spengo la sigaretta sull'asfalto e inizio a fischiettare.

venerdì 20 giugno 2008

Autore di merda!

Mi hanno fatto notare che non avevo attivato il commento aperto, ovvero, potevano commentare i miei sproloqui solo i giá iscritti su blogspot. Quindi la colpa é mia se non ci sono commenti, voglio dire, ció non toglie che siate un pubblico di merda, ma forse ci vuole un autore di merda, per voi. Per farvi felici intendo. Ed io lo sono, anzi RIVENDICO un'anima marrone-cacca, per me, per voi. Per non sentirci tanto estranei, lontani, sperduti. Ognuno nella sua isola, isolani, isolati, isotonici, ma accomunati tutti da un'anima marrone.

mercoledì 18 giugno 2008

Pubblico di merda!

Siete un pubblico di merda!
Io mi passo le giornate a scrivere nuovi post, abbellire il blog, bere cocacola light e fumare sigari e voi non commentate niente. Non é bello. Proprio per niente.
Vi odio.

martedì 17 giugno 2008

La nuova vita.

Fa caldo a Palermo, un caldo che uccide i nonni e irrita i padri. L'acqua di Mondello lambisce le dita dei miei piedi, tocca pirma l'indice, accende lo smalto delle unghie con nuovi riflessi. se ripenso alla mia vita prima delle elezioni faccio fatica a riconoscermi. Ero una ragazza qualunque, con le sue scarpe prada e lo zaino invicta sulle spalle. Pizza e birra il sabato o qualche festa. Ma non voglio pensare al passato. Non voglio pensarci perché mi fa stare male. adesso che le scuole sono state occupate dalle bande armate passo la giornata a fare molotov, o ad aiutare Ada in cucina. La notte invece mi scopano. Ormai non importa piú chi é che mi sbatte sulla cattedra, chiudo gli occhi e cerco di pensare alle cose belle, tipo il mare. L'acqua che lambisce le dita dei piedi. Come adesso. Sono scappata ma so che prima o poi mi ritroveranno. O loro o altri, non importa, ma qualcuno mi troverá e mi costringerá ad accettare di fare sesso con lui e coi suoi compari. Perché piaccio ai maschi. Gli faccio sangue. Sento degli spari dietro di me. No, non sono spari, é qualcuno che sta facendo a pezzi la statua della Sirenetta. Strano che non ci avessero pensato prima. Quelli che mi avevano presa dicevano di essere liberisti rivoluzionari, continuavano a ripetere "rilancio dell'economia" "reddito pro capite" e cose di questo genere, ma poi lanciavano le molotov contro i loro oppositori e mi scopavano la notte. Ovvio, non ero la sola, ma le altre erano piú vecchie, piú brutte e mi trattavano male, con un'alterigia che probabilmente nascondeva un forte senso d'invidia nei miei confronti. Basta, non ci voglio pensare. L'acqua del mare é fresca e lambisce le dita dei miei piedi,ma eccolo. Un vecchio si trascina al mio fianco. Ha la divisa del Palermo,esce fuori la minchia. Lo sapevo.

martedì 3 giugno 2008

Insurrezione: altri 7 giorni piú o meno.

Non posso ricordare molto del nono giorno dell'insurrezione. Non ricordo gli spari, e i mezzi congolati che entrano da Porta Felice, e i bagni di sangue, la guerriglia urbana e la morte eroica di Nino Vigna, insomma tutto quello che poi scriverà l'organo di stampa e che verrá pubblicato nel libro di storia. Nulla di tutto ció. Il mio unico ricordo é dei crampi, e degli spasmi orrendi delle mie gambe e braccia, le vampate di calore e i sudori freddi. Un male che mi scuoteva da dentro, rendendomi cieco, zoppo, vulnerabile, isterico e nervoso. Lena aveva gli stessi sintomi, anche se in maniera piú lieve, mentre se non fosse stato per Ino forse saremmo morti entrambi. Lui non stava male, o almeno non soffriva del nostro stesso male. E al dolore l'avevano abituato le sue coliche, sin dalla piú tenera etá. Dopo che gli insorti avevano incendiato il palazzo in cui vivevo c'eravamo accampati in una grotta nella vallata sul fiume Oreto. Sapevo che il dolore era alle porte perché sudavo come un cane, la cittá non era piú un luogo sicuro ma non avevamo molti posti dove andare. Non ricordo nemmeno come arrivammo all grotta. Quando ripenso a quei giorni vedo solo le nere pareti della roccia nuda che mi avvolgono come un sudario, mentre da fuori la luce del sole mi fa lacrimare gli occhi. Ino mi porta dell'acqua ma io la vomito immediatamente. Dolore, dolore, dolore. Dal mio corpo si alza un urlo che investe tutto il mondo, anzi, tutto il mondo, qualsiasi cosa, inizia a urlare all'unisono con me. Dimentico tutto, anche il mio amore per Lena. Sono solo io e la mia carne che esplode. Non posso dormire, ma non sono nemmeno sveglio. Stavo cosí male che mi sarei iniettato un pugno di terra se solo avesse contenuto qualche molecola di robba dentro. Fu la settimana piú lunga della mia vita.

Insurrezione: giorno 8.

Sono in via Colonna Rotta senza soldi, senza casa, senza eroina e ho pure due persone a carico. Non riesco a vedere il futuro roseo, anzi, penso al suicidio. Come farei? Con la robba ovviamente. Prima la inietterei a Ino, che per come é messo muore subito, poi a Lena ed infine con la stessa siringa mi ammazzerei io, che senza di loro che vivrei a fare? Va bene il suicidio, ma manca la materia prima. Cazzo cosa darei per qualche grammo di brown. Sicuramente mi si legge in faccia. Che voglia irresistibile, cazzo. Camminiamo un pó. Senza una meta precisa. In silenzio. Con gli occhi bassi sull'asfalto e le dita che grattano le nuche. Ci fermiamo ad un portone ad altezza Danisinni. Dal cortile giungono schiamazzi e urla. Entriamo passando da un cancelletto striminzito per ritrovarci in uno spazio abbastanza grande, quadrato. Una discreta folla di persone incita due combattenti, che nudi si fronteggiano al centro dello spiazzo. Sulla sinistra, seduta davanti ad un tavolino pieghevole, una signora magra e appuntita prende le scommesse. Dietro di lei un cartello scrive: Caló 11-Solano 3. Dal balcone di un'abitazione un ragazzino vende MELLONE GHIACCIATO tramite un cesto di vimini. Mi faccio spazio tra le persone, e per una volta mi sento meno derelitto di quelli che mi stanno attorno. Facce segnate dalle cicatrici, abituate alla violenza, stordite dall'improvvisa libertá, inebriate dall'insurrezione. Non capii bene quello che vidi, dovetti aspettare qualche minuto affiché il cervello elaborasse i dati che gli occhi trasmettevano. Erano due vecchi nudi che si sbranavano come cani impazziti, ma senza forza, le dita appuntite, i genitali avvizziti, uno di loro trascinava una gamba rotta mentre l'altro gli tirava i capelli. ANDIAMO VIA! Gridai a Lena e Ino.

Insurrezione: giorno 7.

L'odore del fumo non era un sogno. Mi svegliai tossendo. Gli altri dormivano mentre le vampate accendevano coi loro bagliori sinistri la finestra sul pianerottolo. SVEGLIATEVI PRESTO! Lena ed Ino dormivano abbracciati come due fratellini nella notte, ma non potei fare a meno di notare un'emergente erezione dai pantaloni sgualciti del decenne. Non era certo il momento di fare il geloso. DOBBIAMO SCAPPARE CAZZO! Ino inzió a gridare. Forse per la paura o magari per una colica improvvisa. Ci catapultammo dalla finestra giú in via Colonna Rotta. Una piccola folla stazionava davanti al palazzo ormai in fiamme. La gente sembrava triste e incazzata, ma soprattutto triste. Poi tutti si misero a guardare nella stessa direzione. Era il quarto piano. Ci viveva una coppia di anziani signori, i coniugi Benzo. Zoppo e sempre ben vestito lui, obesa e straprofumata lei. Erano sul terrazzo indecisi sul da farsi, mentre le fiamme avanzavano pericolosamente verso di loro. Ad un certo punto lui inciampó e lei lo aiutó ad alzarsi con amore, ma anche lentamente, con fatica, come si muove la gente grassa. Stavamo tutti con le bocche spalancate, quando un grossa fiammata li investí in pieno. I loro capelli presero fuoco immediatamente, ma per fortuna solo quelli. I POMPIERI NON RISPONDONO. Mi confessó un signore in sandali e canotta. Le fiamme li stavano arrostendo a poco a poco, parlavano tra di loro, tenendosi stretti. Poi successe una cosa strana, li vedemmo entrare dentro, sempre abbracciati, mentre il fuoco li accendeva come fiammiferi e scomparire tra le fiamme. Nell'aria l'odore di bruciato era insopportabile e il fumo nero e denso ti scassava i polmoni. Davanti alla luce abbagliante dell'incendio mi resi improvvisamente conto di avere dimenticato la robba dentro casa. MINCHIA.

Insurrezione: giorno 6.

PAPÁ HO FAME. Disse Ino. E MI FA MALE TUTTO QUI. Indicava la schiena. NON POSSO FARCI NIENTE, NON ADESSO, MI DISPIACE. Guardava dalla finestra quella povera suora e non poteva farci niente. La inseguivano brandendo zappe e martelli, uno forse aveva anche un'ascia ma non si riusciva a distinguere. DOBBIAMO FARE QUALCOSA, PAPÁ! Aveva ragione Ino, ma cosa avrei potuto fare? Da solo contro quei pazzi? LIBIRTÁ O MURTI! Gridavano all'unisono. La monaca correva incespicando. Lasció cadere i sacchetti di plastica per muoversi piú velocemente. L'asfalto di tinse del giallo dei maltagliati di semola di grano duro. LIBIRTÁ O MURTI! Ma loro erano piú veloci, e non perché piú giovani. Non solo, almeno. Era la sete di sangue, la rabbia cieca, il brivido della violenza di gruppo che li spronava a correre sempre di piú. La suora arrivó al portone del convento. Sembrava calma quando premeva il bottone di plastica del citofono. Calma o rassegnata. Lena stava accoviacciata stringendo le gambe e poggiando il mento nell'incavo delle ginocchia, come una bambina sola, e i suoi capelli si accendevano di riflessi dorati accarezzati dai raggi freddi del sole. Passarono degli istanti lunghissimi. Clac! Sentii il rumore del portone che veniva aperto da dentro. La monaca ebbe un attimo di titubanza, poi si piegó verso terra per raccogliere i sacchetti di plastica. NO! Il primo ad avventarsi contro di lei fu un ragazzo dalla pelle scurissima. La afferró per il cappuccio e la fece piegare su se stessa dandole una ginocchiata sulla schiena. Poi gli altri le furono addosso. Dopo poco le armi improvvisate brillavano screziate di sangue. Ino correva da una parte all'altra della stanza girdando. Forse avrei dovuto dire qualcosa ma non mi venne niente. Preparai le siringhe.

sabato 10 maggio 2008

INSURREZIONE: giorno 5.

Stamattina ci svegliammo con la voce monocorde del giornalista del TG. Era tornata la luce dopo giorni, non sapevo se interpretarlo come un buon segno. Lo studio televisivo era stranamente spoglio e lo stesso giornalista appariva con gli occhi cerchiati, la barba incolta, 2 o tre macchie rosse -uso sugo- sul colletto. LA SITUAZIONE VERSA NELL'INSTABILIT. VARIE PARTI DELLA PENISOLA SONO ANCORA ISOLATE E SENZA I SERVIZI PRIMARI. IL GOVERNO PROVVISORIO INVITA I CITTADINI A NON USCIRE DI CASA E NON PRENDERE PARTE ALLE RAZZIE E ALLE VIOLENZE. SI CONTANO NUMEROSI GRUPPI ORGANIZZATI. ALCUNI SONO ANCHE ARMATI. RIPETO, ALCUNI GRUPPI DI INSORTI SONO ARMATI. IL GOVERNO PROVVISORIO E LA GIUNTA MILITARE INVITANO I CITTADINI A RESTARE NELLE LORO CASE E NON PARTECIPARE ALLE LOTTE. LE PRIME STIME NON CONFERMATE PARLANO DI... Di nuovo il buio ci avvolse e il silenzio. Ino abbracciava Lena tremante. COSA SUCCEDE? Chiedeva con una vocina impercettibile. NIENTE, NIENTE, NON AVERE PAURA. Risposi senza troppa convinzione. La verit¡ é che non sapevo nemmeno io cosa stava succedendo. La ferita allo stomaco mi fece ricordare che ero scappato dall'ospedale ancora convalescente. Ma perché? Le elezioni. Tutto cominci³ con quelle maledette elezioni. Avevano vinto le persone sbagliate. I buoni o i cattivi non importa. Le persone sbagliate. Gli altri avevano aizzato la gente. Forse avevano anche utilizzato gruppi di tifosi o di estremisti per spargere il caos. Non so. Non mi sono mai interessato di politica. Non mi sono mai interessato ad altro che alla fusione, alla robba, e adesso a Lena. Cosa volete che ne capisca io di quello che succede l¡ fuori? Dalla strada risuon³ un urlo straziante. Ino mi afferr³ il braccio. POSSO CHIAMARTI PAP? Chiese terrorizzato.

Insurrezione: giorno 4.

Ino camminava piano, da quando prendeva eroina i suoi dolori erano quasi spariti. Adesso indossavamo entrambi pantaloni a scacchi bianchi e neri da cuoco e stivali di gomma. SIETE BUFFI. Commentó Lena vedendoci vestiti uguali. Ino a soli dieci anni sembrava vecchio almeno il doppio. Cosí pelato e itterico. Era il quarto giorno che la citta, e forse la nazione, era insorta a causa delle elezioni. E solo allora cominciammo ad avere fame. A casa non era rimasto quasi niente e quel poco che c'era era germogliato o imputridito nel frigorifero spento. LO SMA. Disse Ino distinguendo nell'oscuritá la scritta verde. Tra gli scaffali del supermecarto reganava il caos. Sul pavimento cocci di vetro e pozze di melma. PRENDINE PIÚ CHE PUOI. Dissi passando le confezioni di Manzotin al bambino. Rubammo anche risotti knor liofilizzati. Notai che la gente aveva preso soprattuto salmone, caviale, paté di fegato d'oca, bottarga e tutte le prelibatezze che normalmente non si poteva permettere. Ino aveva un barattolo di nutella tra le dita quando un tipo vestito di scuro mi puntó una pistola alla faccia. NON MUOVERTI. Lascio cadere il sacchetto. QUA NON DOVETE VENIRE PIÚ, BASTARDI; VE L'AVEVO DETTO. Cercai di discolparmi. MA IO NON SONO MAI... BASTA! Ringhió il metronotte. VE LA SIETE CERCATA! Armó il cane e pensai che ormai per me era finita. Il rumore dello sparo mi fece torcere le budella, ma poi sentii delle voci. LIBIRTÁ O MORTI. Gridavano in una specie di canto cadenzato. Poi entrarono allo SMA. Indossavano tute da ginnastica. Dovevano essere una ventina. LIBIRTÁ O MORTI. Ed iniziarono a spaccare tutto, esaltati come bambini l'ultimo giorno di scuola. Afferrai il sacchetto e scappai fuori sperando di non essere visto. Ino mi aspettava leccandosi la nutella dalle dita.

Insurrezione: giorno 3.

Dovevo trovare un pó di robba. Lena sudava giallo, gli occhi sprofondati dentro le ossa, non diceva nulla ma sapevo che ne aveva bisogno. POSSO VENIRE? mi chiese Ino quando vide che mi vestivo. Risposi di no perché temevo per la salute del bambino, giá malato di suo, e preferivo che qualcuno restasse con Lena, per non lasciarla sola. Appena fuori mi resi conto che il giubbino grigio faceva entrare dai buchi ai gomiti un freddo pungente che mi grattugiava i peli del petto facendoli sbattere come granchi sospinti dalle onde. La cittá era deserta, il terzo giorno dell'insurrezione, e bella. Sembrava pulita, senza nessuno in giro. In via Lattarini trovai un negozietto aperto. Entrai per chiedere cosa fosse successo ma non pareva esserci nessuno. Dai vestiti per terra capii che l'avevano saccheggiato. Presi qualche pantalone da cuoco e degli stivali di gomma perché non rimaneva molto altro. Alla Vucciria non c'era nessuno. Feci qualche passo e mi resi conto con orrore che la statua della fontanella era tutta sporca di sangue. Avvicinandomi vidi che seguendo un assurdo motivo decorativo erano state appese alcune teste umane sul predellino della vasca, la cui acqua era rossa e stantia. Vomitai, mi misi a correre e svoltai in un vicoletto senza nome. Doveva essere stata l'astinenza o l'abitudine a spingermi lí. Spostai un pezzo di marciapiede eroso ad arte e trovai una bustina piena. La robba era lí dove la nascondevano abitualmente. Cazzo che fortuna. Infilai la busta nelle mutande e corsi via. sulla strada di casa vidi un gruppo di insorti che perlustravano corso Vittorio vestiti di nero. Avevano strani trofei appesi alle cinture. Erano dita mozzate e orecchie. A Lena ed Ino decisi di non raccontare nulla. Ci bucammo al tramonto e Ino ne volle un pó.

mercoledì 30 aprile 2008

DUX MEA LUX

martedì 29 aprile 2008

Venditti posseduto.

Venditti, posseduto dal demonio e miracolato: cantante di fama grazie a San Francesco Saverio

ROMA (26 aprile) - Vivo per miracolo, cantante per opera di san Francesco Saverio e vittima di Satana: in un'intervista a «Petrus», il quotidiano on line sull'apostolato di Benedetto XVI, Antonello Venditti svela i dettagli della sua fede e racconta le tappe più significative della sua esperienza religiosa. «Ero nato di otto mesi, piuttosto fragile e sottopeso, tanto che i medici mi avevano pronosticato la morte quasi imminente - racconta il cantante romano - Mia madre Wanda, religiosissima e grande devota di San Francesco Saverio, pregò e chiese la sua intercessione per la mia sopravvivenza. Fu così che una notte, in sogno, San Francesco Saverio le disse: non ti preoccupare, si salverà, diventerà grande e sarà un cantante famoso. E così è stato».Quanto a Satana, Venditti dice di esserne stato vittima a 16 anni: «Ero ossessionato da una figura malefica che appariva all'improvviso e mi immobilizzava quasi del tutto. Ricordo che potevo muovere solo il braccio destro». Il cantante racconta che solo dopo essersi fatto più volte il segno della Croce riuscì a eliminare definitivamente quell'immagine dalla sua vita. Cattolico e comunista, Venditti parla anche di San Pio. «Padre Pio - dice - è sintesi della santità perché credeva e obbediva senza mai chiedere nulla in cambio». L'artista critica chi si reca a rendergli omaggio pretendendo segni soprannaturali. «Questo sottobosco di cercatori di miracoli talvolta ha determinato in me una crisi di coscienza - aggiunge - perché ho visto la Fede ridotta a superstizione».Grande è, infine, l'ammirazione che Venditti esprime nei confronti di Benedetto XVI: «E' un signor Papa e un signor teologo. Io credo e confido in lui». Tra le sue canzoni, al Santo Padre il cantante dedicherebbe Stella «perché - dice - è talmente bella che si suona anche in Chiesa.

Da il Messaggero online: (http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=23188&sez=HOME_SPETTACOLO)

martedì 22 aprile 2008

L'insurrezione


Non faccio alcuna fatica ad ammettere che l'idea dell'insurrezione é direttamente collegata alla situazione politica attuale. L'Italia nelle mani dei mostri mediatici di sempre mi fa paura e terrore, ma la cosa peggiore é che non esiste alcuna alternativa. Qualcuno davvero ha creduto, anche solo per un attimo che ce ne fosse una???
L'unica possibilitá, quando la gente si renderá conto di essere sul lastrico, di non potere piú andare avanti, di non avere nulla e di avere perso anche la libertá -rubata dall'ipnosi collettiva delle televisioni e dei giornali- é la rivolta popolare, l'insurrezione.
Io la sto raccontando, coi suoi drammi, le violenze e le contraddizioni che si trascina dietro.

Tanti nuovi raccontini insurrezionalisti sul sito di repubblica. Leggili in ordine e votali:

http://palermo.repubblica.it/dettaglio/Favole-palermitane/1376813

mercoledì 16 aprile 2008

Insurrezione: giorno 2.

Ci sparammo tutta la robba che c’era in casa in un solo pomeriggio, e siccome Ino continuava a gridare e lamentarsi scosso dalle coliche pungemmo anche lui. Ero felice e anche Lena era felice, Ino non so se fosse felice, ma almeno non si contorceva. Tutto il dolore dei giorni che eravamo stati separati e delle ferite e delle umiliazioni scomparí come l'ago nella pelle. Mi raccontó che avevo lasciato la porta aperta, quando ero scappato in cerca d'aiuto. I vicini l'avevano vista, per terra, in mezzo al vomito, in overdose e impauriti avevano chiamato il 113. Mi raccontó di come l'avevano trattata, solo perché era nata a Timisoara. Ammanettata alla barella, a smaltire la scimmia nel corridoio del pronto soccorso, e poi giú al commissariato, dove l'avevano percossa, minacciata, torturata e infine lasciata in una cella sola per due giorni, senza mangiare, né bere. Nel frattempo era scoppiata l'insurrezione e il commissariato era stato evacuato di fretta. Per fortuna fu trovata da un paio di ragazzini graffitari che avevano approfittato della confusione per tingere coi loro murales le pareti bianche della questura. La abbracciai forte. La baciai sulla bocca e la sua lingua era dolce come la martorana. TE IUBESC. Facemmo l'amore svogliatamente, a causa dell'eroina non arrivammo all'orgasmo ma non era importante perché finalmente eravamo di nuovo insieme. Poi ci rendemmo conto che avevamo scopato mentre Ino si trovava nella nostra stessa stanza. Per fortuna era sconvolto, non doveva essersi reso conto dell'accaduto, o non di tutto. Fece buio e accendemmo le candele. La casa pareva fatata e il volto di Lena sembrava disegnato da un pittore del 500. Andammo a letto presto, e cosí passó anche il secondo giorno d'insurrezione.

lunedì 14 aprile 2008

Insurrezione: giorno 1

C'era tanta confusione ed ebbrezza nell'aria e odore di copertoni incendiati. Mi sentivo ancora la testa rintronare per lo scoppio delle bombe a Piazza della Vergogna ma ero anche felice, mi sentivo libero, mi sentivo vivo. Ino mi seguiva con un cappotto troppo grande trovato a Villa Sfagno, per terra, ma oltre quello indossava solo la camicia da notte dell'ospedale. Ogni tanto cadeva per terra scosso dalle coliche, mi faceva pena. Un bambino cosí piccolo condannato a soffrire in questo modo, per questo non lo volli lasciare solo nella clinica ormai vuota e lo portai con me. Gli insorti si erano giá divisi in due o tre gruppi di cui ignoravo le prerogative. Tutto era successo alla fine delle elezioni, quando fu chiaro che ormai la cittá era ingovernabile. Ma in realtá l'unica cosa che mi interessava era tornare a casa. In Corso Vittorio le barricate erano insormontabili, bloccavano la strada da una parte all'altra, cosí dovetti camminare lungo i vicoli, budelli ormai senza nome dove si consumavano i crimini piú atroci, dove viveva gente dedita alle piú turpi depravazioni, dove la morte era un sollievo. 3 uomini col passamontagna mi passarono accanto brandendo asce e martelli. Al grido LIBIRTA O MURTI! Si scagliarono contro un gruppo di vigili del fuoco che cercava di spegnere una Y10 in fiamme. Cominciarono a volare pezzi di carne, denti, gli schizzi di sangue macchiarono la testina pelata di Ino. Corremmo fino al papireto, finalmente arrivai in via Colonna Rotta. Proprio davanti casa imputridiva un cadavere senza testa. ENTRIAMO DALLA FINESTRA HO PERSO LE CHIAVI. La casa era buia, dovevano aver tagliato la luce. SE TE MUEVI SPARO. Dall'ombra qualcuno mi puntava una pistola alla nuca, ma riconobbi subito il suo profumo. LENA! Gridai eccitato.

giovedì 10 aprile 2008

Omaggio a Maurice Bertelsen.


Io vivo, ma vivo perché l'essere é in modo. Non oltre o altrimenti.


Basta solo questa frase, semplice, tagliente come una lama di damasco, a spiegare tutta la filosofia di Maurice Bertelsen, il mio maestro, il mio punto di riferimento letterario e non solo.


Poche e contrastanti le informazioni biografiche, spesso depistate dallo stesso, che sosteneva l'inesistenza del tempo e quindi si divertiva a mescolare i riferimenti alla sua vita come fossero pezzi di un mosaico asincrono.


Nato in Svezia, fin da ficcolo si appassiona ai classici della filosofia per spirito di "emulazione". Si narra, infatti, che suo padre, di origini francesi, passasse giornate intere chiuso in biblioteca dove studiava la Scienza della Logica. Scoprirá soltanto alla morte del genitore che quella della "Scienza della logica" era solo una scusa per portare avanti una tumultuosa tresca con la moglie del vicino di casa.

Quando scopre l'increscioso adulterio il giovane Bertelsen si rende conto di avere fondato la sua vita su un equivoco, cosí inizia una revisione delle sue idee. Si distacca dalla metaficica hegeliana e si avvicina alla prassi rivoluzionaria. Alcune aspre prese di posizione anti-monarchiche gli causano dissapori con le autoritá del suo paese, dissapori che culminano con l'auto-esilio nell'isola di Malaga.

Nel sud della Spagna di lui si perdono le tracce per alcuni anni. Si racconta che in quel periodo il nostro si sia allontanato dalla filosofia per studiare ballo flamenco. Bertelsen racconta in un'intervista, che si era innamorato di una bella gitana dagli occhi come gocce di mare e che lei gli aveva insegnato qualche passo di danza.

Costretto a fuggire dalla Spagna con l'avvento di Franco, Bertelsen si trasferisce in Francia, a Parigi, presumibilmente dai nonni paterni, almeno all'inizio del suo soggiorno. Si avvicina agli ambienti delle fumerie d'oppio e in preda ai fumi delle droghe inizia a maturare la sua visione antitemporale.

Passai la guerra in un lungo, caldo torpore. Non ricordo niente, solo cuscini di raso ricamati.

Prova a rientrare in Spagna ma viene bloccato alla frontiera, vive coi pastori nei Pirenei perché non ha i soldi per tornare a Parigi. In questa fase che lui stesso definisce virgiliana matura l'idea di modalitá. Riallacciandosi all'etimologia della parola, la modalitá bertelseniana é un "limite" un "viaggio guidato" che divide l'essere da ció che vive e tutto il resto. Riallacciandosi al concetto di tempo, l'unica concezione possibile di modalitá puó avvenire fuori da esso, tutto il resto é fatica sprecata. Negando il tempo Bertelsen viene considerato un eretico e accolto con risate di scherno nei circoli accademici e nelle universitá. Il governo svedese fa scomparire le 1000 copie della sua prima opera: Studio sui metodi. Stampate clandestinamente a Stoccolma. Non era piú concepibile la vita, avevo la sensazione chiarissima di tutti chilometri da percorrere per ricominciare.

Il suo sfortunato ritorno in Svezia coincide con due lutti terribili, la morte della madre e della bella gitana (con cui comunque non aveva piú rapporti da tempo, ma che aveva idealizzato). Si perdono le sue tracce un'altra volta. Probabilmente il filosofo visse in uno stato di dura depressione. Lo ritroviamo a Parigi, dove scrive alcuni saggi brevi importantissimi, il cui argomento principale é il concetto di limite dinamico. Finalmente si delinea la triade modalitá-modi-limite dinamico che é un pó la struttura di tutto il suo pensiero. Sfortunatamente gli scritti di cui sopra verranno smarriti dal malvagio editore, a cui Bertelsen incautamente invia l'unica copia esistente. Le testimonianze che ci restano sono tratte da alcune carte che presumibilmente il nostro scrisse a mó di sunto per una serie di lezioni.

Bertelsen nell'ultima fase della sua vita si avvicina molto all'arte. Dal suo punto di vista ogni produzione artistica é l'affermazione della modalitá perché uccide il tempo. Diventa un assiduo frequentatore dei teatri e soprattutto dei cinema, di cui evidentemente ammira le capacitá di sintesi e di allucinazione ipnagogica. Presumibilmente in questo periodo il nostri si astrae cosí tanto dalla realtá che inizia a concepire la modalitá con tratti quasi religiosi, arrivando, sembrerebbe, a personificarla nella bella gitana.

Scompare a Palermo durante la stesura del suo capolavoro, l'incompiuto: Della modalitá morale. Una summa del suo pensiero in cui da un discorso ontologico si arriva a poco a poco ad un discorso morale e di prassi.

Il mistero che avvolge la sua scomparsa é pressocché inestricabile, gli ultimi testimoni dicevano di averlo visto la notte di capodanno del 1983 che camminava per la cittá distruggendo col suo bastone, tutti gli orologi che incontrava.

Al di lá dei facili manicheismi e delle prese di posizione deterministiche e stantie, Maurice Bertelsen resta uno dei filosofi piú misteriosi ed appassionanti di tutto il '900. Di lui e della sua opera restano solo frammenti e spezzoni, probabilmente quello che conosciamo del suo pensiero é solo la punta di un iceberg ma basta quel poco rimasto a farci intravedere la luciditá del genio, l'intransigenza dell'uomo, la coerenza del pensatore, l'inquietante parallelismo tra l'opera e la biografia.

mercoledì 9 aprile 2008

Un altro racconto su Repubblica.it

Oggi é stato pubblicato il mio ultimo racconto su Repubblica.it. Ancora una volta il protagonista é Ninni, immerso in una Palermo post-elettorale in cui le bande armate si spartiscono il territorio a suon di violenze.

http://palermo.repubblica.it/dettaglio-inviato?idarticolo=reppalermo_1376813&idmessaggio=325269

martedì 8 aprile 2008

lunedì 7 aprile 2008

"Insurrezione", il nuovo racconto su Repubblica.

Appena pubblicato sulla pagina panormita di Repubblica. Un ulteriore tassello della disperata recérche di Ninni, il drogato innammurato, che ha perduto la donna dai bellissimi capelli ramati conosciuta da tutti voi col nome Lena.
Leggetelo e votatelo:

http://palermo.repubblica.it/dettaglio-inviato?idarticolo=reppalermo_1376813&idmessaggio=315744

sabato 5 aprile 2008

Lost Someone, il video definitivo.

La veritá é dura, fa male, ma é giusto conoscerla, é un dovere morale, anzi modale. É cosí per la giovane protagonista di questo video, il cui candido, immacolato corpo é sacrificato alle muse del nero cantante soul. Perché l'impeto fulminante, la malinconia lieve, il tocco raffinato ed etereo delle coreografie si sposano indissolubilmente alla musica come in un abbraccio, un ultimo abbraccio verso qualcuno che si é perduto, per sempre.

venerdì 4 aprile 2008

Palermo is falling.

Torno a Palermo e non cambia niente. Le strade impolverate, gli stigghiolari avvolti nel profumato fumo bianco, gli sguardi duri ai semafori, gli occhi dei ragazzi che tradiscono una violenza genuina, sul punto di esplodere. Me ne scappai perché non potevo rimanere. Le mie unghie crescevano troppo velocemente, non appena le tagliavo ecco che stavano di nuovo lí, a guardarmi con quel sorriso di scherno. Me ne scappai perché non avevo nulla da fare e mi abbuttavo tutto il giorno. Ormai non uscivo nemmeno piú. Tanto sapevo cosa mi aspettava fuori. Me ne scappai perché a Palermo si ficca poco e male. Di sicuro le femmine passano tutto il giorno a masturbarsi, visto che poi non la danno a nessuno, o forse c'è un lesbismo nascosto, diffuso, segreto, inevitabile con cui si danno piacere tra loro. Deve essere cosí. Torno a Palermo e mi ritrovo a salutare persone che prima non salutavo. Mi guardano, che devo fare? E poi mi sento in pace, ormai la mia vita é fuori, lontano, che mi cambia salutare tre o quattro persone in piú o in meno? Parlo con una ragazzina coi capelli rossi. Puzza di vino e birra. Nessuno le ha insegnato a non mischiare? Mi mostra il suo capezzolo sinistro. TI PIACE? Chiede indicando l'anello di metallo che trapassa la pelle dell'areola. Io rispondo di sí. In realtá non mi piace, e trovo anche sconveniente che una fanciulla poco piú che adolescente stia a mostrare le sue minne in giro, ma non lo posso dire sarebbe poco cool. La mia vespa va male. Poverina, ma non voglio spenderci soldi per ripararla visto che tra poco riparto. Le strade e i negozi mi passano accanto piano piano ed ho il tempo di spiare dentro le vetrine, di vedere le facce annoiate dei commessi, i loro gesti di impazienza. Riparto tra pochissimo. Dormo male. Sto ricominciando ad annoiarmi. Mi guardo le dita e le unghie sono lunghissime, mefistofeliche. Le devo tagliare al piú presto. Il mare giá inghiotte l'airbus a-320, penso a quanto é buona la spigola cotta alla brace, solo a PAlermo ha quel sapore, solo a Palermo e in nessun altra parte del mondo.

lunedì 24 marzo 2008

Video pasquale.

martedì 18 marzo 2008

Poesia?

Visto che questo é il mio blog e ci scrivo quello che mi pare e ancora nessuno ha fatto un solo commento e mi sento ispirato (coca-cola light e sigaro café creme fidi scudieri) ecco, finalmente, a grade richiesta, una poesia dedicata a tutte le mie fan:


La tua postura da dietro con gli stivali grigi



Asfissiare é una scala
troppo corta troppo breve
a volte inciampi
o sbatti la schiena
cerchi
di non inalare
cerchi
di imparare a soffrire
Asfissiare é una corda
troppo lunga troppo corta
come gli spazi dietro le orecchie
rosse
come gli spazi dietro le porte
appesi
Asfissiare é una giostra
senza fine
gira
continua a girare

giovedì 13 marzo 2008

Tassidermia unica via.

Questo é il soggetto per un film di animazione che il mio amico mr.calamaro mi ha commissionato:



Sabino é un bambino che ha perso i genitori in un incidente domestico. Mamy e Papy stavano ficcando sulla cucina a gasse e non si resero conto che lo scroto di Papy aveva inavvertitamente aperto il gasse. Mamy si accende una sigaretta post-orgasmica e BUM! Nella sua culla Sabino piange e le fiamme si avvicinano. Per questo motivo Sabino ha il visino ustionato.

Sabino a causa di questo irreparabile essere freak diviene taciturno e solitario ed inizia a coltivare un hobby bellissimo: l’imbalsamazione di animali.

Sabino cresce. Accanto al suo appartamento si stabilisce Inma, e lui si innamora perdutamente di quei biondi capelli. Inma ha una gatta che si chiama Calipso. Una mattina la gatta sparisce. Inma é molto triste. Sabino la incontra per le scale e l’accompagna a casa, lei intenerita dal buon cuore del nostro eroe gli si concede.

Sabino il giorno dopo, per farle una sorpresa le porta un regalo. Inma lo apre e dentro, ovviamente c`é Calipso perfettamente impagliato. La tipa urla, Sabino ha paura, non capisce.

Sabino ormai vecchio a tavola. Di spalle davanti a lui Inma. Ancora giovane. Un occhio le cade nella zuppa. Dall’orbita le esce un poco di paglia. Sabino glielo ripone a posto e l’immagine si fa scura quando inserisce la protesi nel buco.

lunedì 10 marzo 2008

Carnevale da buttare.

Adesso le spiego che ci faccio in internet. Peró, commissario, vorrei cominciare dall'inizio. Ogni anno per carnevale, a scuola i parrini organizzano 'sta festa in maschera, ok. I corridoi addobbati, i banchi addossati alle pareti, coriandoli e stelle filanti dappertutto, bottiglie di fanta e rosticceria mignon sulle cattedre e tanta, tanta droga. Sí, commissario, droga. E mentre l'anno scorso lo sballo era l'oppio (quindi fu una festa piuttosto tranquilla) quest'anno tutti si facevano di colle e solventi. Che casino. Scene uso: un tipo vestito da bart simpson accasciato in un angolo col suo sacchetto di plastica tra le dita e il sangue a sprizzi dal naso che respira affannosamente mentre la sua amica (Anna della 3 F, una troia) cerca di farsi palpeggiare. Vabbé. Io la trielina non la tiro, che mi fa schifo. Bevo fanta e vodka. Sono bellissima vestita da Pocaontas, ma non mi nota nessuno perché la fusione é estesa, coatta. Mi ferma Sara. Chiede se voglio coca. Ok. A me la coca piace. Ce l'ha un tipo, ma non so chi é. Dice. Ha una maschera da Venditti. Sara mi porta al secondo piano, dove ci sono le stanze dei parrini. Bussa a una porta. Il tipo apre. Dentro ci sono altre 3 o 4 ragazze. Fattissime. Una vestita da fata é giá in topless. Dallo stereo musica di Venditti a palla. Io e Sara ci facciamo un paio di piste. C'è coca dappertutto. Il tipo con la maschera si spoglia nudo, rivela un corpo un pó flaccido ma senza peli e questo é ok. Sembra adulto ma non ne sono mica sicura. Brandisce un N70. Poi mi sento tutte quelle mani addosso. Sto bene. Scatta l'orgia. Non ricordo molto altro. Lui non parlava, i particolari, poi, li puó vedere lei stesso, su youtube. Adesso posso andare, commissario? Voglio comprarmi un N70 pure io, prima che chiudono i negozi di via Libertá

giovedì 6 marzo 2008

Nuova favola.

Una nuova storia aspetta di essere votata su:

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La protagonista é la porno teen gonzaghina piena di soldi e vizi. Un personaggio che resterá senza nome perché non ne ha bisogno. Niente a che vedere coi proletari Lino, Ninni et cetera.

mercoledì 20 febbraio 2008

Dalla pelle al cuore.

I governi cadono, le mafie vincono su ogni fronte, la benzina costa uno sproposito, il mondo va a rotoli ma a me non me ne frega niente. Riscaldo la brown sul solito cucchiaino e la sparo felicemente dentro Bianchina, la mia vena preferita. Poi Tocca a Lena, al mia zita di Timisoara, ma qualcosa non va per il verso giusto. Comincia a sbattere forte gli occhi, le sale una strana schiuma rosa dalla gola. MINCHIA! Mi alzo in piedi ed ho paura, ma cado su di lei. È TROPPO PURA! Devo fare qualcosa, avvicino un paio di cuscini alla testa di Lena, le capovolgo la faccia, per non farla soffocare. Poi riesco ad uscire fuori. Non mi muovo bene e gli occhi fanno fatica ad abituarsi alla luce accecante. Corro verso piazza Indipendenza. Davanti al palazzo della Regione un gruppo di manifestanti dá fuoco alle bandiere ed inneggia alle dimissioni del presidente. Mi infilo in mezzo a loro, col mio puzzo, con i miei sandali e i calzini bucati. AIUTATEMI AIUTATE LENA! Grido in preda al panico. IO LA AMO È L'UNICA COSA CHE HO! Non capiscono. La gente mi guarda con timore, come se fossi un fottuto marziano. Sono sicuro che qualcuno mi avrebbe anche aiutato ma poi accadde quello che tutti sapete. Dalle balconate del palazzo una serie di personaggi laidi, grassi, vestiti da preti inizia a tirare sulla folla migliaia di cannoli. I dolci si spiaccicano al suolo con un rumore grottesco, e sulle teste. Piú di una persona cade tramortita, qualcuno piange, altri fuggono. Quelli che restiamo, gli sbirri ci portano via. Dentro al furgoncino mi accorgo che perdo sangue dalla bocca. Mi sento addosso l'odore della ricotta rancida, ho il corpo tumefatto dalla zuccata. LENA MUORE AIUTATEMI! Piango sconsolato, poi mi caco di sopra. Una vecchia femminista mi fulmina con lo sguardo. Che sará di me senza te?

Racconto di capodanno.

Oggi é capodanno, cioé il giorno prima, la vigilia insomma. Mi alzo alle 11 e faccio una canna. La fumo mentre lavo i denti. Che bello che non c'è scuola! Ho una fame micidiale e quindi dico a Mary di prepararmi qualcosa di sostanzioso. Se la fida a cucinare, chissá dove avrá imparato, che dicono che in Africa crepano tutti di fame! Mangio 4 frittelle con sciroppo d'acero, un uovo con bacon, fette biscottate con cofettura di mirtilli, e due kiwi per finire. Poi vado in bagno a vomitare. I negozi sono aperti cosí chiamo Sara e ci vediamo in via Principe. Facciamo shopping svogliatamente e compriamo lingerie rossa di seta. La invito a pranzare da me. Mary cucina pasta con le vongole ma gliela faccio buttare, Sara mangia solo insalata. Dopo pranzo andiamo in camera mia e guardiamo una puntata di Dr. House fumando erba e bevendo vino bianco. Ho sonno e dormo. Mi sveglia mamma, non la vedo da settimane, forse mesi. Vuole che le presti un tanga rosso, le dó uno dei completi che ho comprato da poco. Di pomeriggio vado a casa di Luis, ci baciamo e sniffiamo coca. Bussano alla porta. É suo cugino Titti, mi chiede di baciare anche lui cosí lo accontento. Loro vorrebbero scopare ma io devo andare a casa a cambiarmi cosí li pianto. Indosso un vestitino Armani, sandalo tacco 9 Gucci per fare vedere i piedini smaltati, soprabito Prada nero, borsa Gucci intonata alle scarpe e pendente rubino per attirare l'attenzione sul decolleté. Cena francese da Régine, mi ingozzo di ostriche tanto poi vomito. Bevo fino allo stordimento, tiro una quantitá colossale di coca. Discoteca. Perdo il conto di quanta gente bacio a mezzanotte. Svengo nella Y10 di Sara mentre qualcuno mi sta scopando. Spero che sia qualcuno che conosco. L'ultima cosa che ricordo é la voce di Venditti dall'autoradio.

Cani da taverna.

Ormai aveva perso il conto. Da quanti giorni stava lí in taverna a bere zibibbo? Il tramonto a Ballaró si tingeva di rosso come il sangue che iniettava gli occhi del nostro eroe. Lino si era chiuso in un silenzio pericoloso e contorto. Poi non li capiva. Quei ragazzi con gli orecchini e i tatuaggi. Che ci facevano lí alla taverna? Mica era casa loro! Gli facevano schifo, si vestivano male, avevano i capelli tutti impiccicati e parlavano una lingua che non riusciva a capire. Andavano in giro con cani di mannara e cercavano di darsi un tono parlando in dialetto. Schifo! Gli venne improvvisamente una gran voglia di pisciare ma qualcuno occupava il cesso da un paio d'ore. Figgh'i sucaminchia! Bofonchió e uscí fuori perché non ce la faceva piú. Ormai la notte aveva inghiottito la piazza con i suoi tentacoli morbidi. Barcollando Lino giró l'angolo insinuandosi nell'interstizio tra una Y10 e un portone per potere espletare i suoi bisogni fisici fuori da sguardi indiscreti. Non si sentiva granché in forma, vedeva le cose che si fondevano le une nelle altre e gli sembrava di galleggiarci dentro. Quasi cieco tiró fuori la ciolla e inizió a pisciare tremando dalla gioia. Che minchia... Una voce si materializzó dal buio del portone. Hey! Un'altra voce si uní alla prima. Senza smettere Lino aguzzó lo sguardo e vide che stava inondando di piscio una coppietta in atteggiamenti intimi. La tipa aveva i capelli rosa e cercava goffamente di tirarsi su un tanga dello stesso colore. Cos'inutili itivinni! Li sgridó Lino pisciandosi sui mocassini. Quelli scapparono via terrorizzati. Tornato alla taverna finí il suo bicchiere, si sentiva allegro e orgoglioso. Quel gesto aveva dato un senso alla sua vita, non aveva dubbi. Poi si trascinó a casa tutto tronfio e prese a cazzotti la moglie.

Tu non sei piú sola.

Era sola, e il fatto che fosse sola la faceva sentire ancora piú sola, anche le coppie, a Villa Trabia, che si abbracciavano sotto i baobab millenari le ricordavano che era sola o le madri, con le facce stanche all'uscita dall'asilo. Sola, senza nessuno, senza un amico o un fidanzato e con quell'orribile macchia sul viso. Perché? Si chiedeva nelle sue lunghe notti insonni. Perché ho questa orribile macchia sul viso? E le aveva provate tutte: si ungeva la pelle con pomate e lozioni, comprava ogni tipo di cosmetico, si era affidata all'aiuto di un'equipe di estetisti in via Florerstano Pepe che le aveva rubato migliaia di euro per trattamenti al limite della legalitá. Ma non funzionava nulla. L'orribile macchia non andava via, né il rossore, tanto meno quei maledetti crateri intervallati ora da radure aride, ora da avallamenti spinosi ricchi di una rada e ispida peluria. Stava guidando in via Volturno e pioveva, il cd della sua Y10 si spense di botto interrompendo Grazie Roma. Lei si distrasse un momento e BUM! Va a sbattere contro la Y10 che le sta davanti. Pianta freno. Dall'auto esce un uomo vestito da clown, la pioggia gli scioglie il cerone dal viso. E' colpa mia, scusi! Il clown la guarda basito, guarda quell'orribile macchia e intanto il cerone cola a rivoli sull'asfalto, sul bavero del costume. Adesso é lei che lo guarda basita perché sotto al cerone il viso dell'uomo nasconde un segreto: una macchia porpora ancora piú orribile di quella sua. Improvvisamente non si sente piú sola, unica, ma quella sensazione non le piace. Le scappa un rutto, prova uno spasmo alla pancia, vomita. Fugge a casa, apre il gas, ficca la testa nel forno e piange pensando a quella macchia, cosí grande, cosí screziata, cosí morbida, cosí orribile. Molto piú orribile della sua.