martedì 24 novembre 2009

Lo scroto di Palermo

Ormai lo sento, il degrado é mio, la mia pelle sporca, i miei capelli inzaccherati. Ricordi i giorni della schiavitú? Non sono mai passati, compá. Le scarpe rotte non mi proteggono i piedi. Le dita, si le dita, sono massacrate dai geloni, e la sporcizia non aiuta. Ho costruito una casa, compá. Tu che dicevi: NON AVRAI MAI UNA CASA TUA, NON CI RIUSCIRAI MAI, NON GUADAGNI ABBASTANZA, NON C'È LAVORO. Invece ce l'ho. E l'ho fatta con le mie mani. La chiamo l'igloo. Ha la struttura di un igloo, ma non di ghiaccio, non di ghiaccio compá. L'odore? Ti ci puoi abituare. Devi essere parte del tutto, all'inzio cerchi risposte, ti fai domande, il tuo corpo si difende, reagisce. Poi ti senti male. Un dolore infinito, nella pancia, non nei polmoni. Una specie di vomito represso cronico globale. Ma l'uomo é l'animale piú adattabile che esiste, la gente del polo vive negli igloo, si é adattata, loro non hanno altro che neve, noi qui a Palermo che abbiamo? Monnezza. Ci dobbiamo adattare anche noi, compá. Nella monnezza dobbiamo vivere e lo faremo, nel nostro igloo di monnezza. Le mie unghie ormai non arrivano al cuoio capelluto, lo strato di grasso mi isola la cute, non ho bisogno del cappellino, quello di cui non ho bisogno lo elimino. Voglio vivere nella purezza, compá. Elimino gli strati superflui, ne ho eliminati tanti fino ad ora. Ricordi i giorni dell'amore? Anche quello superfluo, compá. Va eliminato, per essere un tutt'uno con Palermo, con la monnezza. Voglio essere lo scroto di Palermo, non mi mancano piú i tuoi baci, mi mancano i tuoi schiaffi.