giovedì 31 luglio 2008

La strada verso casa.

Non sarei nemmeno tornato in cittá. Non dopo quello che avevano fatto a Tina. Fu Giada a farmi preoccupare. Non poteva continuare a dormire in giardino, davanti al tumulo dove ho sepolto nostra figlia. Non mangiava da giorni e a malapena beveva un bicchiere d'acqua, non piú di uno al giorno. La sua pelle si era ustionata sotto il picco del sole, bruciata seguendo i contorni rotondeggianti dei vestiti. Anche io stavo perdendo la testa e questo non potevo permetterlo. Ci diedero un passaggio dei contadini che portavano ravanelli e angurie. CHISTI I PAVANO CULL'ORO! Dicevano soddisfatti arricchendosi al mercato nero. Ormai in cittá il denaro non valeva piú nulla o quasi. Lo stato centrale, ció che ne rimaneva, aveva lasciato la cittá in balia dei disordini, focalizzando come prioritario l'intervento nella penisola. E senza ormai aerei e navi a rifornirci i siciliani dovevano arrangiarsi con quello che c'era. Giada non prununció parola durante tutto il tragitto e nemmeno io avevo voglia di parlare. Mentre mi si aprivano davanti i gialli paesaggi madoniti pensavo solo ad una cosa: la vendetta. Volevo eliminare quelli che avevano fatto del male alla mia bambina. La mia piccola Tina, la mia bellissima. Li volevo fare a pezzi con le mie mani e vederli soffrire. Immaginavo torture sofisticate e dolorose. Poi vidi per la strada un padre e un figlio. Erano ridotti male, i piedi nudi e scorticati, i vestiti bruciati. Guardai gli occhi inespressivi di Giada e capii che vendicarmi non sarebbe mai stato abbastanza. Non poteva ridarmi quello che mi avevano tolto. Anche quel padre e quel figlio avevano perso qualcosa. Arrivati in via Brigada Verona i contadini ci salutarono regalandoci mezza anguria. Mentre aprivo il portone vidi Giada che mangiava l’anguria, forse non tutto é perduto.

Elegia madonita.

A Blufi, mentre sto scavando ormai da piú di 2 ore non faccio altro che pensare a mia figlia. Me l'hanno ammazzata. Me l'hanno ammazzata. Non posso fare a meno di ripeterlo, peró, nello stesso tempo riesco anche a focalizzare altre cose: e elezioni, le repentine trasformazioni che ha subito Palermo in poche settimane, i giovani e vecchi che hanno abusato di Tina per giorni e giorni, ma non giungo mai ad una conclusione. Cosa potrei fare? Cosa fareste in una circostanza come questa?
Mia moglie ormai non parla quasi piú.Mi voleva addirittura impedire di seppellire Tina. TIENIAMOLA UN PO' QUI CON NOI. Ricordo il suo sguardo implorante e pieno di speranza quando mi chiedeva questa cosa assurda.
Per non sprofondare nel vortice del dolore cerco di fare il punto della situazione.
Il sole é ancora forte, malgrado siano giá le 8 di sera. Ho le mani indolenzite e stanotte la schiena non mi fará dormire. Me l'hanno ammazzata.
Secondo le informazioni che ho raccolto grazie alle amicizie ultrá del portiere del mio stabile, Tina é stata prelevata direttamente a scuola, in una retata il giorno successivo alle elezioni, poche ore dopo lo scoppio dell'insurrezione. Non fu l'unica, se ne portarono qualche decina, scegliendole accuratamente. Secondo gli Ultrá i rapitori erano gli sbirri, ho qualche dubbio in proposito, peró é un dato di fatto che frange estremiste delle forze dell'ordine, almeno all'inizio dei disordini, si sono compattate per destabilizzare la cittá e instaurare un governo armato. Erano quelli immediatamente meglio organizzati, coi loro capi abituati al comando e le armi pronte per sparare.
Ora fa piú fresco, malgrado la canottiera sia un tutt'uno con la schiena. Adagio il corpo di Tina nel fosso ed esco fuori. Il sole é una palla del colore del sangue mestruale.

venerdì 25 luglio 2008

Tavola per tre.

Leggo i titoli del giornale appizzati con lo scotch nei pali della luce. Sono ormai vecchi, la carta é gialla, i bordi arricciati dal calore. In mezzo a via Libertá i platani abbattuti mi sbarrano piú volte la strada cosí sono costretto a scendere dalla bicicletta. Arrivo in piazza Massimo verso mezzo giorno. Il sole a picco non risparmia nemmeno la mia ombra. Falerio ancora non arriva. Dal teatro Massimo occupato campeggia una scritta su uno striscione: CT = AIDS. Il vento che scuote le bandiere nere e rosa mi fa arrivare l'odore appetitoso del pesce alla brace, ricordo che dovrei avere fame. Accendo una N80. Finalmente Falerio sbuca da una porta secondaria. SEI IN RITARDO. Gli dico. NON SI PREOCCUPASSE. Mi risponde. Poi chiama due ragazzetti con un cenno. Sono vestiti col completo del Palermo calcio. Trasportano un grande sacco della spazzatura nero. QUA C'È QUELLO CHE CI INTERESSA. Vado per aprire li sacchetto ma Falerio mi ferma minaccioso. PROFESSÓ PRIMA LE CHIAVI! Gli dó le chiavi del villino a Mondello e i due ragazzetti lasciano il sacco per terra e tornano dentro. BRAVO! BRAVO PROFESSÓ. Mi dice Falerio dandomi una pacca sulla spalla. VEDRÁ CHE VINCEREMO E PRIMA O POI LA PAGHERANNO! Va via, ma a me non importa nulla. Apro il sacchetto ma trattengo a stento un conato. Gli occhi di Tina sono ancora aperti. É tutta colpa mia. Penso quando la trasporto sulla bicicletta verso casa. Non respira. Ogni tanto mi fermo sotto il sole e apro l'involucro. Ma lei é lí che mi guarda con gli occhi spalancati e non respira. Penso a dove la seppelliró. Penso che per me e sua madre qualcosa é irrimediabilmente cambiato. Finalmente arrivo a casa. Mia moglie ha giá preparato il pranzo. Mi fissa con uno sguardo allucinato. Ha apparecchiato per tutti e tre.

Di sasso.

Non esisto. Non vivo. Sono una pietra. Sono il pezzo staccato di una montagna. Sono forte. Non mi fa niente il sole, né il vento. Mi puoi prendere in mano e stringere tra le dita. Mi puoi usare per bloccare una porta. Mi puoi usare per zavorrare un cadavere o riscaldata posso curare i reumatismi. Sono una cura potenziale. Il peso é parte di me. Sono una pietra oggi. Potrei essere qualsiasi cosa, una pietra o qualsiasi altra cosa non cambia niente perché non vivo. Vedo quello che succede senza partecipare. Nessuno mi degna di attenzione perché non sono una bella pietra. Non ho una forma particolare, né un colore. Sono una pietra invisibile, delle piú mansuete.Mi piace essere una pietra perché non ho responsabilitá.Le responsabilitá sono degli esseri viventi.Mi chiedo se domani vivró anch'io.Non vorrei vivere.Non dopo avere visto lo scempio degli uomini. La razza peggiore. Ho visto la gente per le strade quando hanno rotto i ricevitori delle tv. Il mondo senza televisione. Non c'ero piú abituata. Mi resi conto di essere diventata una pietra moderna. Senza la Tv all'inizio mi annoiavo, ma poi mi rassegnai. Mi rilassai sul marciapiede ed iniziai a guardarmi attorno. Con paura ebbi una rivelazione. Non ero sola, c'erano migliaia di pietre attorno a me. Eravamo piú numerose degli uomini. Ah se solo fossimo vive gli avremmo fatto vedere noi! Invece no. Siamo condannate a stare ferme in un posto a guardare. Adesso sono giorni che non funzionano piú le televisioni e lo spettacolo lo fanno gli uomini, a nostro sollazzo. Sono tutti per strada. Palermo é piena di gente come per il festino. Qualcuno si diverte anche. Gridano slogan politici. Sono schierati gli uni davanti agli altri ma ecco una mano che mi afferra. Lo sapevo, non si puó fare una sommossa senza di noi.

giovedì 24 luglio 2008

Colpo di fulmine.

Ecco l'attrazione che le autoritá hanno proibito di esporre.

domenica 13 luglio 2008

Legge di mercato.

Ci si sveglia alle 4. Alcuni non vanno nemmeno a dormire, si portano i termos, ma io se non dormo non reggo. Ormai a casa non ho piú niente, metto le ultime cose in un paio di valige e scendo in piazza. Molti sono giá lí. Prima dell'insurrezione a quest'ora c'erano soprattutto negri e rumeni che cercavano di vendere telefonini, orologi e riproduttori mp3 rubati a qualche turista, ma adesso non ci sono piú turisti a Palermo, e nemmeno negri e rumeni. Sono scappati tutti dopo i roghi, e quelli che non ci sono riusciti, mio dio, sono stati messi in schiavitú.
Giá c'é passío in piazza, anche troppo direi. Ormai vengono da fuori, non é solo gente del quartiere. Riesco a trovare qualche metro quadrato libero accanto ad un ragazzo che sta dormendo sopra una montagna di scatole di simmenthal. Le venderá tutte, ne sono sicuro. Apro le valige e getto sul marciapiede la mercanzia. Sono per lo piú i vestiti dei miei figli, un paio di giocattoli superstiti e quello che resta dell'argenteria. Poca cosa. Albeggia. Qualcuno mi offre del caffé, ma senza zucchero. Piazzetta Ballaró si riempie. Qualcuno dá uno sguardo alle mie cose ma nessuno compra. Ormai é quasi ora di pranzo e ancora non ho venduto niente. Ho la gola secca e la pancia mi brontola. Il ragazzo che ho accanto vende una scatoletta di simmenthal a 4 euro ma io ne ho solo 2. Riesco a convincerlo a vendermene la metá. Nessuno compra, nessuno compra. Sono le 3 di pomeriggio, il sole e il caldo mi hanno bruciato le braccia e il torso. C’è chi resiste ma ormai quasi tutti hanno smontato. Mentre rimetto le mie cose in valigia riesco a rubare un paio di scatolette al mio vicino. Il pasto dei miei figli. Se tutto continua cosí, domenica prossima nella piazza di Ballaró metteró in vendita uno di loro.

Il battesimo del fuoco.

Io c'ero. Quando sbarcarono coi mezzi d'assalto al porto di Palermo. Quando entrarono coi cingolati in via Crispi. Quando sparavano i lacrimogeni dalle jeep. Io c'ero ed era il mio battesimo del fuoco.
Non so nemmeno io perché o contro chi combattevo, ma ero pronto a sacrificarmi, e come me molti altri giovani ultrá palermitani, gente abituata ai soprusi delle tifoserie avversarie, alle imboscate nei treni durante le trasferte, alle provocazioni delle forze dell'ordine. Ci chiamarono uno per uno a telefono la mattina dopo le elezioni. SIAMO ORGANIZZATI. Ci dissero. ABBIAMO ARMI. Arrivai alla sede con un ragazzo che avevo giá visto accoltellare un tifoso rosso-blu. Nino era il suo nome e aveva alle spalle una lunga storia di diffide e riformatorio. La sua bellezza accecante mi faceva rincoglionire, parlava solo dialetto ma io cercavo di imitarlo, goffamente. AMUNÍ. Anche quel giorno era accanto a me. Indossava una tuta adidas e un casco integrale. I suoi muscoli guizzavano sotto il tessuto sintetico e i pantaloni gli scolpivano un sedere fidiano. C'era caldo al porto e subito iniziarono a sparare lacrimogeni. DISPERDETEVI E NON VI SUCCEDERÁ NULLA DI MALE. Gridavano coi megafoni. Poi iniziammo a sparare. Eravamo mille, forse piú. Nino correva veloce. Saltó su una jeep dell'esercito. Io lo seguii. Lo vidi mentre lottava contro sei militari, solo e schiumante di rabbia. Mi gettai nella mischia pensando che forse, se fossi morto, Nino avrebbe pianto pensando a me. Mi stavano schiacciando la bocca col calcio d'un fucile e io ero eccitato, felice, quando vidi la testa di Nino esplodere baluginando al riflesso del sole. Un militare a bruciapelo gli aveva sparato in faccia un lacrimogeno. Tutto si fermó all'improvviso. Anche il mio cuore anche il mio cuore.

Carne in scatola.

I bagni di folla non mi sono mai piaciuti, ma almeno stavolta sarei stato il solo protagonista. Mi trovarono dentro l'Auchan di via Castelforte. Era stato razziato da mani professioniste, quello che restava era praticamente inutile, ma la fame mi spingeva a non fermarmi, cosí seminascosto sotto un'impalcatura divelta, trovai un pacchetto da 3+1 di scatolette di carne simmenthal. Non mi sembrava vero. Erano almeno tre giorni che non mangiavo, ci vedevo tutto appannato, le gambe mi si piegavano non reggendo il peso. Mi sedetti tra le macerie e la polvere e divorai la morbida gelatina senza nemmeno assaporare i pezzi di carne sfilacciata al suo interno. Stavo per aprire la seconda quando ebbi la netta sensazione di essere spiato. Da dietro una parete in cartongesso si fece strada una ragazza. Era giovane e carina, ma sporca e i suoi occhi erano del colore del mare. NON PICCHIARMI. Mi disse con un sussurro. HO FAME. Aprii la seconda Simmenthal e gliela porsi. La ragazza la inghiottí quasi per intero. La terza scatola mi premurai di dividerla in due parti. Mentre mangiavamo non potei fare a meno di notare le unghie sporche, i capelli arruffati e i graffi sulle braccia di lei. Doveva esserle capitato qualcosa di brutto... Stavamo lí, terminando la carne quando con un boato entrarono inferociti. GUARDATE! Gridó una voce. L'HA RAPITA L'HA RAPITA! Poi mi afferrarono mille mani. SPORCO NEGRO! LA PAGHERAI! Ma anche lei urlava, non sembrava affatto contenta di essere stata trovata. Mi lanció una tristissima occhiata di gratitudine e poi scomparve inghiottita dalla gente. TINA! TINA! Gridava un vecchio scosso dal parkinson.
Adesso é il mio turno. Stanno accendendo il fuoco sotto di me. Continuano a chiamarmi negro. Sporco negro. Ma io non sono negro. Vaglielo a spiegare che sono filippino

martedì 8 luglio 2008

Quello che succede.

L'unica maniera possibile per raccontare l'Italia, ma ancor piú Palermo, é la letteratura. Limitato il cinema, limitata la pittura, limitata anche la musica.
I racconti che scrivo, questi 1800 caratteri necessari e dimessi, mettono a fuoco la situazione di completa follia che impera attorno a noi. Non si tratta di surrealimo o qualche altro gioco intellettuale. Lo stiamo pagando noi. Lo stiamo pagando con la nostra vita. Una vita che ormai si compra con poco. Una vita che non vale un cazzo.

Per quanto possa sembrare strano non ho paura dell'insurrezione. Penso che sia l'unica soluzione possibile. Ho paura dell'accettazione, ho paura che la gente continui ad accettare di essere governata da grottesche caricature di delinquenti che nemmeno i film di serie z sono stati capaci di rappresentare peggio.
Ma certo, sono anche convinto, che come tutte le cose, anche l'insurrezione sarebbe vissuta dando il peggio di sé.

Quindi non scrivo storie fantascientifiche, non invento niente. Parlo semmai d'una dimensione altra, plausibile, in cui la gente, stanca di tutto, ha preso in mano la situazione. Una dimensione vicinissima, vivida; indosso i miei occhiali speciali e la vedo.