sabato 10 maggio 2008

INSURREZIONE: giorno 5.

Stamattina ci svegliammo con la voce monocorde del giornalista del TG. Era tornata la luce dopo giorni, non sapevo se interpretarlo come un buon segno. Lo studio televisivo era stranamente spoglio e lo stesso giornalista appariva con gli occhi cerchiati, la barba incolta, 2 o tre macchie rosse -uso sugo- sul colletto. LA SITUAZIONE VERSA NELL'INSTABILIT. VARIE PARTI DELLA PENISOLA SONO ANCORA ISOLATE E SENZA I SERVIZI PRIMARI. IL GOVERNO PROVVISORIO INVITA I CITTADINI A NON USCIRE DI CASA E NON PRENDERE PARTE ALLE RAZZIE E ALLE VIOLENZE. SI CONTANO NUMEROSI GRUPPI ORGANIZZATI. ALCUNI SONO ANCHE ARMATI. RIPETO, ALCUNI GRUPPI DI INSORTI SONO ARMATI. IL GOVERNO PROVVISORIO E LA GIUNTA MILITARE INVITANO I CITTADINI A RESTARE NELLE LORO CASE E NON PARTECIPARE ALLE LOTTE. LE PRIME STIME NON CONFERMATE PARLANO DI... Di nuovo il buio ci avvolse e il silenzio. Ino abbracciava Lena tremante. COSA SUCCEDE? Chiedeva con una vocina impercettibile. NIENTE, NIENTE, NON AVERE PAURA. Risposi senza troppa convinzione. La verit¡ é che non sapevo nemmeno io cosa stava succedendo. La ferita allo stomaco mi fece ricordare che ero scappato dall'ospedale ancora convalescente. Ma perché? Le elezioni. Tutto cominci³ con quelle maledette elezioni. Avevano vinto le persone sbagliate. I buoni o i cattivi non importa. Le persone sbagliate. Gli altri avevano aizzato la gente. Forse avevano anche utilizzato gruppi di tifosi o di estremisti per spargere il caos. Non so. Non mi sono mai interessato di politica. Non mi sono mai interessato ad altro che alla fusione, alla robba, e adesso a Lena. Cosa volete che ne capisca io di quello che succede l¡ fuori? Dalla strada risuon³ un urlo straziante. Ino mi afferr³ il braccio. POSSO CHIAMARTI PAP? Chiese terrorizzato.

Insurrezione: giorno 4.

Ino camminava piano, da quando prendeva eroina i suoi dolori erano quasi spariti. Adesso indossavamo entrambi pantaloni a scacchi bianchi e neri da cuoco e stivali di gomma. SIETE BUFFI. Commentó Lena vedendoci vestiti uguali. Ino a soli dieci anni sembrava vecchio almeno il doppio. Cosí pelato e itterico. Era il quarto giorno che la citta, e forse la nazione, era insorta a causa delle elezioni. E solo allora cominciammo ad avere fame. A casa non era rimasto quasi niente e quel poco che c'era era germogliato o imputridito nel frigorifero spento. LO SMA. Disse Ino distinguendo nell'oscuritá la scritta verde. Tra gli scaffali del supermecarto reganava il caos. Sul pavimento cocci di vetro e pozze di melma. PRENDINE PIÚ CHE PUOI. Dissi passando le confezioni di Manzotin al bambino. Rubammo anche risotti knor liofilizzati. Notai che la gente aveva preso soprattuto salmone, caviale, paté di fegato d'oca, bottarga e tutte le prelibatezze che normalmente non si poteva permettere. Ino aveva un barattolo di nutella tra le dita quando un tipo vestito di scuro mi puntó una pistola alla faccia. NON MUOVERTI. Lascio cadere il sacchetto. QUA NON DOVETE VENIRE PIÚ, BASTARDI; VE L'AVEVO DETTO. Cercai di discolparmi. MA IO NON SONO MAI... BASTA! Ringhió il metronotte. VE LA SIETE CERCATA! Armó il cane e pensai che ormai per me era finita. Il rumore dello sparo mi fece torcere le budella, ma poi sentii delle voci. LIBIRTÁ O MORTI. Gridavano in una specie di canto cadenzato. Poi entrarono allo SMA. Indossavano tute da ginnastica. Dovevano essere una ventina. LIBIRTÁ O MORTI. Ed iniziarono a spaccare tutto, esaltati come bambini l'ultimo giorno di scuola. Afferrai il sacchetto e scappai fuori sperando di non essere visto. Ino mi aspettava leccandosi la nutella dalle dita.

Insurrezione: giorno 3.

Dovevo trovare un pó di robba. Lena sudava giallo, gli occhi sprofondati dentro le ossa, non diceva nulla ma sapevo che ne aveva bisogno. POSSO VENIRE? mi chiese Ino quando vide che mi vestivo. Risposi di no perché temevo per la salute del bambino, giá malato di suo, e preferivo che qualcuno restasse con Lena, per non lasciarla sola. Appena fuori mi resi conto che il giubbino grigio faceva entrare dai buchi ai gomiti un freddo pungente che mi grattugiava i peli del petto facendoli sbattere come granchi sospinti dalle onde. La cittá era deserta, il terzo giorno dell'insurrezione, e bella. Sembrava pulita, senza nessuno in giro. In via Lattarini trovai un negozietto aperto. Entrai per chiedere cosa fosse successo ma non pareva esserci nessuno. Dai vestiti per terra capii che l'avevano saccheggiato. Presi qualche pantalone da cuoco e degli stivali di gomma perché non rimaneva molto altro. Alla Vucciria non c'era nessuno. Feci qualche passo e mi resi conto con orrore che la statua della fontanella era tutta sporca di sangue. Avvicinandomi vidi che seguendo un assurdo motivo decorativo erano state appese alcune teste umane sul predellino della vasca, la cui acqua era rossa e stantia. Vomitai, mi misi a correre e svoltai in un vicoletto senza nome. Doveva essere stata l'astinenza o l'abitudine a spingermi lí. Spostai un pezzo di marciapiede eroso ad arte e trovai una bustina piena. La robba era lí dove la nascondevano abitualmente. Cazzo che fortuna. Infilai la busta nelle mutande e corsi via. sulla strada di casa vidi un gruppo di insorti che perlustravano corso Vittorio vestiti di nero. Avevano strani trofei appesi alle cinture. Erano dita mozzate e orecchie. A Lena ed Ino decisi di non raccontare nulla. Ci bucammo al tramonto e Ino ne volle un pó.