martedì 24 novembre 2009

Lo scroto di Palermo

Ormai lo sento, il degrado é mio, la mia pelle sporca, i miei capelli inzaccherati. Ricordi i giorni della schiavitú? Non sono mai passati, compá. Le scarpe rotte non mi proteggono i piedi. Le dita, si le dita, sono massacrate dai geloni, e la sporcizia non aiuta. Ho costruito una casa, compá. Tu che dicevi: NON AVRAI MAI UNA CASA TUA, NON CI RIUSCIRAI MAI, NON GUADAGNI ABBASTANZA, NON C'È LAVORO. Invece ce l'ho. E l'ho fatta con le mie mani. La chiamo l'igloo. Ha la struttura di un igloo, ma non di ghiaccio, non di ghiaccio compá. L'odore? Ti ci puoi abituare. Devi essere parte del tutto, all'inzio cerchi risposte, ti fai domande, il tuo corpo si difende, reagisce. Poi ti senti male. Un dolore infinito, nella pancia, non nei polmoni. Una specie di vomito represso cronico globale. Ma l'uomo é l'animale piú adattabile che esiste, la gente del polo vive negli igloo, si é adattata, loro non hanno altro che neve, noi qui a Palermo che abbiamo? Monnezza. Ci dobbiamo adattare anche noi, compá. Nella monnezza dobbiamo vivere e lo faremo, nel nostro igloo di monnezza. Le mie unghie ormai non arrivano al cuoio capelluto, lo strato di grasso mi isola la cute, non ho bisogno del cappellino, quello di cui non ho bisogno lo elimino. Voglio vivere nella purezza, compá. Elimino gli strati superflui, ne ho eliminati tanti fino ad ora. Ricordi i giorni dell'amore? Anche quello superfluo, compá. Va eliminato, per essere un tutt'uno con Palermo, con la monnezza. Voglio essere lo scroto di Palermo, non mi mancano piú i tuoi baci, mi mancano i tuoi schiaffi.

venerdì 21 agosto 2009

Dicevamo ancora che si poteva parlare
Raccontare cose
Annoiarsi un pó insieme
Con tutto quest’odio riempio una damigiana
Tutta la morte
Mi avvicina
Qua nella pentola
I suoi occhi grandissimi
-quanto sono imbecille
Crescono ancora
E le labbra
Quelle labbra le voglio spremere
E farne un succo
Nei miei talloni spaccati entra lo sporco
Lo sporco entra dentro di me
Io, turacciolo appassito
Ruvido sughero
Ruvido ruvido
-Senza piú il calore del vetro
Il giocattolo sporco di terra
Dei cani del quartiere
Ho visto una rana dentro te
Non di quelle belline
Uno due e tre
Contavo i tuoi respiri

Poetica mente.

La mia vena estiva é poetica. Ok?

mercoledì 15 luglio 2009

Ordine pubblico

Noi siamo Roberta e Valeria, siamo gemelle e forse voi ci ricordate come vallette dello zio Pino Taranto, su TeleMonteGarriolo, o magari avete comprato la nostra cassetta di canzoni napoletane. Ieri c'e stato il festino. La cittá era afosa, la gente incuddata in un unico essere ansimante e sudato. Noi come sempre al lavoro, al Borgo, nella nostra rivendita di liquori e altro. Non vogliamo raccontare il festino, l'ennesimo, sempre uguale, scandito dal carro della santuzza e dallo schiocco violento delle labbra succhianti viscide lumache. Quello che vogliamo riferire é altro. Cioé, che qualcuno, ieri pomeriggio é venuto qui in una grande macchina nera, coi vetri oscurati. Non possiamo dire chi era questa persona perché la sua importanza é tale che abbiamo paura -anche qui- delle possibili ritorsioni. Costui ha parlato con chi di dovere e ieri, come per magia non ci sono stati scontri durante la processione. Non ci crederete ma il servizio d'ordine era tutto borgataro. Gente qualunque, manovali, operai, sfacinnati. Sono stati guidati da qualcuno importante, coi piccioli, e ancora prima che iniziassero le feste sono andati nei covi degli attivisti - quelli che farneticano manifestando contro, sempre tristi, sempre incazzati - senza lesinare bastonate anche a fimmine e picciriddi. Poi, con le unghie ancora sporche di sangue rivoluzionario si sono messi a seguire il carro, pregando a voce alta e piangendo di emozione. Quello che ci ha stupito é proprio questo, che qualcuno dall’alto -dio lo protegga e lo preservi- anzi dall'altissimo, abbia deciso che il 14 luglio non ci sarebbero stati scontri nella cittá insorta. A noi la devozione non interessa, preferiamo vendere vino, eppure il momento dei botti é quando ti sentí tutt’uno con la cittá (e non pensi agli attivisti feriti).

SUCCESSI NAPOLI VOL.1

Noi siamo Roberta e Valeria, siamo gemelle e forse voi ci ricordate come vallette dello zio Pino Taranto, su TeleMonteGarriolo, o magari avete comprato la nostra cassetta di canzoni napoletane. Visto che noi veniamo dallo showbusiness possiamo capire in che senso la vita di una persona di successo possa essere molto piú difficile di quella di una persona qualunque. Ci riferiamo al premier, ovviamente, alla sua ascesa e al rapido, repentino declino. Quando ieri ce lo siamo visto qua, a comprare una bottiglia di Cinar abbiamo ricordato il nostro passato di vallette e cantanti. Inizammo molto giovani, a 13 anni, con Pino Taranto, il famoso presentatore di televendite e varietá di TMG. Era nostro zio e ci adorava perché eravamo le sue uniche nipoti. Forse avrebbe desiderato avere dei figli, ma é arruso e non ne avrá mai. Ci prese sotto la sua ala protettrice e iniziammo ad aiutarlo nelle sue televendite prima - portandogli gli oggetti dei vari lotti - e nei varietá dopo - noi eravamo quelle che giravano la palla con dentro i numeri del bingo, per intenderci. Allo studio di TMG un giorno venne un grande signore con la barba, i capelli lunghi bianchi e ricci e un bel sorriso. Era Franco Marini, una figura a metá tra il discografico e il filibustiere, che si racconta avesse scoperto il talento di Gino D'Anna, il grande cantante partenopeo. Lo zio Pino ci mandó a casa di Franco per un provino - avevamo solo 15 anni ed eravamo ancora magre - e gli piacemmo noi e le nostre voci. La cassetta SUCCESSI NAPOLI VOL.1 fu in testa alle vendite in tutti i carretti abusivi e alle stazioni di servizio. Purtroppo peró il signor Franco venne arrestato perché lo beccarono a piratare le sue stesse uscite discografiche e noi con lui cademmo in disgrazia. Povero povero premier!

Cinar

Noi siamo Roberta e Valeria, siamo gemelle e forse voi ci ricordate come vallette dello zio Pino Taranto, su TeleMonteGarriolo, o magari avete comprato la nostra cassetta di canzoni napoletane. Ora siamo cresciute e viviamo al borgo, dove la gente ci tratta col dovuto rispetto. Adesso che Tantino é stato raso al suolo dai cingolati - e lui eroico é rimasto aperto anche in quel fatidico momento, incurante delle urla degli amici, con lo sguardo stoico del capitano che affonda con la sua nave - siamo noi a vendere alcol di notte alla Palermo assetata e insurrezionalista. Gestiamo il negozio seguendo le regole della vecchia scuola, teniamo aperto 24 ore al giorno per 365 giorni all'anno e vendiamo di tutto a tutti, dai 6 ai 99 anni, dall’assenzio ai proteggislip. Palermo ha sempre avuto sete, ma soprattutto ne ha adesso. E poi fa caldo. Ma ecco, sono loro, i figli della strada, i giovani bastardi che vivono in branco, come cani. COSA VOLETE? Chiediamo all'unisono, come sempre. Lo sappiamo cosa vogliono. I palloncini vogliono, per metterci dentro la vernice e poi sniffare fino a perdere i sensi. Invece no,stavolta ci chiedono qualcosa di diverso. Vogliono una pomata per le scottature. Noi ci ricordiamo che l'unica cosa simile che abbiamo in negozio é la crema doposole. Loro accettano. Non sappiamo a cosa gli possa servire, forse hanno scoperto la maniera di sballarsi infilandola nei palloncini. Vanno via e c'è qualcuno che li aspetta fuori, non lo vediamo in faccia ma di certo non é un bambino. Quando entra il cuore ci sobbalza. É bruciacchiato. É sudato. É il premier. DATEMI ANCHE UNA BOTTIGLIA DI CINAR, CHE HO UNA MISSIONE DA COMPIERE. Gli diamo il Cinar, poi i bambini se lo caricano sulle spalle e lo trasportano via, inghiottiti dal buoi umido della notte, in branco.

venerdì 26 giugno 2009

Promesse da Premier

Mi bruciavano le scarpe, gli stivaletti Prada marró, i pantaloni tagliati su misura da uno dei miei sarti. Il calore scioglieva i peli dei mie polpacci mentre la gente gridava A MORTE! A MORTE! Non é bello, ragazzi, non lo é per niente. soprattutto dopo che uno si é fatto il mazzo, per migliorare Palermo, dico. Il mazzo, e chi me l'ha fatto fare? Palermitani ingrati! Tornando a prima. Sentivo le fiamme che quasi mi lambivano, che morte di merda, bruciato tra i rifiuti! Pensavo che era troppo palermitano morire in quella maniera... quando siete arrivati voi. Da dove siete sbucati? Mi é sembrato che usciste dai sacchetti della spazzatura. Non vi ho visto arrivare. Non vi ho visto arrivare. Il fumo giá mi circondava, l'odore era insopportabile. Io mi vomitai sopra la giacca di cotonella verde acqua e questo forse aiutó la combustione a rtardare di qualche prezioso minuto. Circondato dal fumo giá non mi potevano vedere da sotto la collina. Quindi siete arrivati voi. Piccoli ma ben organizzati. Siete riusciti a tagliare le corde che mi tenevano prigioniero, e suppongio che deve essere stato difficile, visto che erano pesanti e ben annodate al palo della luce. Io quasi non respiravo, l'odore mi stava soffocando ma mi sono sentito trasportare da invisibili manine. Non ci credevo. Non avrei mai pensato di salvarmi in quella situazione estrema. Ma vi assicuro che il premier non dimentica nessuno, state pur certi che verrete ricompensati. Anzi ditemi, cosé quello che volete da me? Non abbiate paura, qualsiasi cosa diciate io l'esaudiró, non per niente sono il Premier! Cosa? Volete una famiglia? Beh, come richiesta é strana, ma va bene. Io sono il premier, io vi troveró una famiglia! È una promessa.

martedì 23 giugno 2009

Ballaró blues.

A Ballaró puoi trovare di tutto e io avevo bisogno di un rene. Un tipo losco, presentatomi dal premier, mi aveva detto che poteva procurarmene uno. COME? chiesi un pó stupito. Quello non mi rispose, ma dallo sguardo capii che non avrei fare quella domanda. Mi disse di tornare tra 2 giorni, io risposi che doveva sbrigarsi: non ho tutto quel tempo. VA BENE, CI VEDIAMO DOMANI SERA. Io tornai a casa pieno di speranza e con un pó di schifo verso me stesso. FARÓ DEL MALE A QUALCUNO PER SALVARE ROSA, SONO UN BASTARDO. Ma una volta a casa mi resi subito conto che c'era qualcosa che non andava per il verso giusto. Briciola, la nostra Jack Russel, guaiva disperata e raschiava luscio con le sue unghiette appuntite. ROSA! Nella stanzetta, ormai da mesi adibita ad ambulatorio, il corpo di mia figlia giaceva scomposto e immobile, con le gambe divaricate a mostrare impudicamente le parti intime, decisamente senza vita. Quanto veloce sa essere il tempo, a volte a Palermo, che ti scorre davanti agli occhi e ti viene da chiederti, ma io non ero un bambino solo qualche giorno fa? Invece ero lí, con la mia giacca azzurra di cotonella, la casa in viale Magnolie e i pagliacci tristi di Romano Mussolini alle pareti, a piangere la fine scontata di mia figlia Rosa, appena ventenne, stroncata sicuramente da una delle innumerevoli infezioni renali acute di cui ha sofferto negli ultimi anni. Sono qui, davanti alla mia solitudine mentre Briciola mi lecca le lacrime quando mi rendo conto che a qualcuno stanno portando via un rene per colpa mia, in cambio di una jeep Cherokee rossa. Devo fare qualcosa, penso. Cerco di ricomporre il corpo di Rosa, il suo viso sembra sereno, poi mi assale un'altra volta il rimorso. Metto il guinzaglio a Briciola e corro a Ballaró. Magari posso ancora rimediare.

martedì 16 giugno 2009

RSU Rifiuti Solidi Urbani

Volevo fare del bene alla MIA cittá. Io l'ho sempre detto, ma Palermo é ingrata e adesso mi trovo qua su legato come un salame, con questa gente che mi grida contro. A MORTE! Ma perché? Un palo della luce sbuca dal cumulo altissimo di sacchetti dell'immondizia. Un cappio pende sinistro legato vicino allo slargo per la lampada. A MORTE! La gente urla. Io sono il premier. Non il Premier, quello che va scritto con la maiuscola, dio lo protegga e preservi. Io sono Giacomo Scafidi, il premier di Palermo. Sono venuti a prendermi, su, a San Martino, fin dentro il mio studio, quei bastardi. C'è stato uno scontro in giardino, durato alcune ore, si sono presi a mazzate, ma alla fine ce l'hanno fatta. Aldo mi ha dato una pistola, proprio mentre i ribelli entravano in casa e passavano per la sala turchina. CI PENSO IO A BRUCIARE TUTTO. Gli avevo detto che volevo essere cremato, per non lasciare a nessuno le mie spoglie mortali. Intanto i passi si avvicinavano. Dovevano avere passato la sala porpora, quella verde, l'arancione e la bianca. Anche Aldo aveva una pistola. I suoi occhi neri come il ghiaccio mi guardavano pieni di fierezza. I ribelli erano nella sala lilla quando il mio braccio destro e consigliere personale Aldo Gaetano Bellia si fece saltare le cervella. Io invece non ce la feci. GIACOMO SCAFIDI, ARRENDITI! Disse un ragazzetto. Non passó molto tempo e dopo un veloce viaggio in jeep eccomi qua. Tengo a precisare che se non fosse stato per il supporto del gruppo neo fascista di Franz Scalia, forse mi sarei potuto salvare. Furono loro a coordinare l'azione, forti degli incontri avvenuti nella mia villa. Ma non voglio piú pensarci. La folla mi circonda, per l’ultima volta e c’è un tanfo insopportabile, l'odore della monnezza, l'odore della cittá di Palermo, la MIA cittá.

mercoledì 10 giugno 2009

Benvenuti tra i rifiuti

I cumuli di immondizia sembrano delle montagne variopinte, frastagliate, morbide. Noi non viviamo coi nostri genitori. Non celi abbiamo piú i genitori. Qualcuno sí, ma é come se non li avesse. Siamo stati abbandonati, molti di noi sono fuggiti, come Nello, che non parla mai, ma parlano le sue cicatrici nella schiena. Giá. Si puó anche scappare dai genitori, se i genitori sono cattivi. A me mi mancano il papá e la mamma, ma ormai ho 9 anni, quasi 10, e so cavarmela da solo. Siamo scappati dall'istituto da qualche mese. Io sono rimasto con Iole perché é la mia ragazza, e si prende cura di me. Poi a poco a poco si sono uniti Nello e gli altri. Adesso siamo una ventina e sono sicuro che qualcun altro si aggiungerá a noi. C'è un bambino che ci spia da lontano, secondo me ha paura o é timido, ma finirá per venire. Sará la fame a farlo decidere, come per tutti. In branco é piú facile sopravvivere.
Dicevo. Noi campiamo rovistando tra i rifiuti, piú che altro. Riusciamo a raccogliere quanto basta per tirare avanti e a volte anche di piú. Ci sballiamo sniffando solventi o vernici. Non ci interessano i bei vestiti o la pulizia, siamo bambini e di queste cose ce ne freghiamo. Vogliamo restare liberi e fare quello che ci pare. L'immondizia é la nostra ricchezza.
Iole mi stringe la mano, mi aiuta a salire sulla cima della montagna. É piú grande di me e anche sviluppata, peró é la mia ragazza. GUARDA CHE HO TROVATO. Dice Nello. É strano perché é la prima volta che apre bocca da quando si é unito a noi. Ha in mano una palla di cuoio, bianca e rossa. Nuovissima. Io sniffo dal sacchetto di plastica che mi porto dietro, pieno di vernice argentata. ADESSO FACCIAMO LE SQUADRE. Il sole riscalda l'immondizia e il tanfo é insopportabile. Mi prudono i capelli.

Resuttana's blues

Se nasci in via Resuttana, passi l'infanzia in via Africa, ti innamori di una ragazza in via Danimarca e cerchi di andare bene a scuola per crearti un futuro e potere chiedere la sua mano per te San Lorenzo é tutto. Per questo motivo rimasi frastornato quando mi dissero che avevo 48 ore per fare le valigie e sloggiare da casa mia. Non pensavo tanto a me stesso, quanto ad Arianna, che non avrei piú potuto rivedere: non si puó dire che stessimo inseme, né che mi amasse. Diciamo che sono un timido e quindi i passi per avvicinarmi a lei sono stati lunghi e diluiti nell'arco di 10 anni. Adesso peró era venuto il momento di invitarla a mangiare una pizza. Ero riuscito a comprarmi una macchina, avevo anche un lavoro come aiuto biciclettaro da Canattella, insomma me la passavo bene e gli esami alla scuola serale pensavo che li avrei superati senza troppe difficoltá. Ma ecco che questi motociclisti vestiti di nero minacciano che ho 48 ore per fare le valigie e sloggiare da casa mia. E mia nonna? Che ne sará di lei che é praticamente cieca? No, non va bene. A questo punto chiesi al mio capo, il famoso ciclista Toti Canattella, un consiglio. Lui mi guardó fisso negli occhi continuando ad oliare un cambio Shimano. PARLANE CON LO ZIO PIPPO. Andai a casa dello zio Pippo, era un ex presentatore televisivo dalle doti medianiche che si guadagnava da vivere leggendo i tarocchi e facendo oroscopi alle signore del quartiere. Mi guardó fisso negli occhi continuando a mangiare semi di zucca. FUTTITINNE. Mi consiglió. Io tornai a casa, pulii la nonna e mi misi a dormire. L'indomani il mio capo mi chiese se avevo sentito la notizia. Io dissi di no. U SAI I MOTOCICLISTI?. Il premier li aveva fatti sparire e nessuno seppe mai il motivo. Adesso mi tocca andare da Arianna. Me la faccio sotto.

Guadagna's blues

Ero il migliore stigghiolaro di Palermo e quindi del mondo. Il mio segreto? Non avevo segreti a parte quello di comprare io stesso la carne, scegliendo le stecche una per una, scartando quelle che mi sembravano troppo grasse o sporche. Arrotolavo il budello con forza, in modo che poi si cucinasse uniformemente. Salavo leggermente e lavavo in un bagno di acqua e aceto. Poi cucinavo sul momento: non sono a favore della barbarie della stigghiola prearrostita e poi solo scaldata alla brace, va bene, si risparmia tempo, ma il gusto ne risente parecchio. Avevo una baracchetta fatta di lamiere annerite dalle parti della Guadagna. La gente mi conosceva bene e mi conoscevano anche i cani randagi del quartiere, che dovevo prendere a calci per scacciarli. L'odore bianco delle stigghiola annebbiava la strada, attirando schiere di palermitani affamati, pronti, tra una stecca e un bicchiere di vino, a lamentarsi di qualcosa o sparlare qualcuno: due tra gli sport piú praticati nel capoluogo. Ora le cose sono cambiate. Trovare la materia prima é molto difficile e poi mi é capitato di essere assaltato da gente impazzita per la fame. La peggiore fu una coppia di svitati: col camice bianco lei e un uncino lui. Mi hanno scarventato per terra. Ho cercato di difendermi col mio coltello, ma il tipo con l'uncino era agile e mi sfiló l'arma con un colpo di moncherino (quello dell'altra mano) al basso ventre. Io sono grasso, il cuore ha cominciato a parlpitarmi. Mi mancava l'aria. Il cielo si fece nero come la carbonella. Quando mi risvegliai mi avevano derubato di tutto, anche il coltello si erano presi e i piatti di plastica arancioni. Cosí smisi con le stigghiole. Adesso ho un sacco di tempo libero. Ma qualcosa mi manca, Mi sento senza molte prospettive, come una stigghiola arrotolata male.

Bonagia's blues

Uno dei quartieri di Palermo che mi ha sempre affascinato, Bonagia. Le strade larghe, i cassonetti verdi, la campagna che non si vuole arrendere recintata, i bambini grigi come l'asfalto, i palazzi minacciosi e squallidi, le casupole - ma sono ormai poche - a due piani, che fanno angolo, le montagne dietro, la circonvallazione vicino. Bonagia é un timido paradiso migliorabile. Mi dispiace abbandonare quei posti, quelle strade, quei ricordi, ma dopo che Lucio si é arruolato non c'è rimasto un uomo vero, a casa, e mia sorella e la nonna si spaventano degli sciacalli. Hanno deciso, dopo che la zia Clara ha risposto ad una nostra lettera recapitatagli da un camionista particolarmente irsuto, di smontare tutto e trasferirci in campagna, almeno finché la situazione non si calma un po'. Io ormai sono l'uomo di casa, anche se ho solo 11 anni. Ma sento addosso il carico pesante della responsabilitá. Aiuto a caricare la nuova 500 e dó un'ultima occhiata, la macchina dentro l'autostrada allontanandosi, al quartiere Bonagia, alle sue guglie, ai rosoni, agli archi rampanti e ai capitelli, alle strombature e ai loggiati; ormai lontani, mettiamo un cd taroccato di Venditti. La giornata é fresca. Teniamo i finestrini chiusi. Qualcuno sgancia una puzza. Lo giuro che non sono io! Mia nonna e mia sorella non ci credono, cerco una maniera convincente di discolparmi, proprio un attimo prima che ci fermino al posto di blocco. Sono pochi, in realtá. Ed uno sta addirittura sulla sedia a rotelle. DATECI IL MEZZO. Ci intima il tipo con la collanina a forma di svastica. Mia madre preme l'accelleratore a tavoletta e sfreccia attraverso quel gruppetto di sfasciallitti. Il tizio sulla sedia a rotelle perde l'appiglio e casca per terra. Ridiamo, ma l'odore della scoreggia é ancora tra noi.

martedì 9 giugno 2009

Matapolio come Nostradamus


Non so se avete tirato le somme, in ogni caso, basta andare un pó a ritroso nel blog, spulciando i miei raccontini per assistere allo scandalo del premier PRIMA che questo scandalo effettivamente fosse stato svelato dai giornali (Repubblica e El Pais in primis).


Giá avevo parlato dell'harem del premier*, delle sua donne, di come le comprasse e usasse a suo piacimento. Tutto questo si é rivelato vero, e come spesso succede la realtá supera l'immaginazione.


Lo scandalo di Villa Certosa é quanto di piú letterario sia successo ad un presidente del consiglio sin dai tempi della prima repubblica (secondo solo al "bacio" di Giuliano Andreotti), e questo é soprattutto merito mio.


Sono convinto, infatti, leggendo i dati del blog, che i dirigenti di mediaset, i pubblicisti di berlusconi, leggano costantemente i miei scritti. Dopo averli letti li confrontano con la realtá di tutti i giorni e ne traggono le loro considerazioni. il loro piano é rendere la vita sempre piú simile ai miei racconti. Se mi pagassero per questo sarei giá ricco. Pagatemi, su!


Scusate se non ho aggiornato il blog da tempo. La colpa é stata mia, del clima politico, del mio ultimo viaggio, della crisi e delle mie dipendenze.


Mia uguro di potere scrivere tante nuove storie al piú presto ed allietare le vostre grigie vite, ancora per un pó.


Saluti profetici.


M.


*La parola "premier" é insulsa, la odio, in quanto invenzione berlusconiana. Usatela il meno possibile, ve ne prego. molto meglio "presidente del consiglio".





venerdì 24 aprile 2009

La pasta madre.

(dedicato a Moreno, Sebastiano, Emiliano e a tutti gli altri miei amici panificatori)


Cazzo. Frusta. Tende di velluto pesanti. L'aria fredda del condizionatore whirlpool. Lo schiocco sulla mia pelle. Cazzo. Frusta. Gli occhi lacrimano ma sono felice. Ricordo Claudia vestita completamente di pelle. Io il lattice non lo sopporto, mentre la pelle, quella si. Fa odore. Apparteneva ad un animale. Vive. Lei sembra a suo agio con il cazzo di gomma. MA CHE RAZZA DI PERSONA SONO DIVENTATO? Penso mentre lei fa schioccare la frusta sulle mie natiche. Vorrei parlare, ma le direi di smettere, quindi non dico niente. CAZZO. Quando il piacere si fa insostenibile chiudo gli occhi. Ma non del tutto. Dallo spiraglio che resta aperto vedo la realtá deformata. Claudia é come un gelato velenoso, una cataratta insensibile. Mi faccio trasportare dal tatto. Il tatto é tutto.FRUSTA. Tutto tatto. Mentre la pelle si impregna di sudore e genera sudore. Dalle inferriate intravedo i passanti, su in via Principe, fare la fila per uno sfincionello. Ironico, no? Una fila lunghissima che si attorciglia fino ai quattro canti, per il razionamento. Ma a me che importa? Sono il fornaio e la mia ricchezza é direttamente proporzionale all'altrui povertá e disperazione. Sono l'unico fornaio rimasto e per questo posso prendermi il lusso di farmi appendere da Claudia, la figlia del portiere, di Piana. No. Non mi bastano piú i cannoli. Non mi bastano piú i cannoli, dammi tua figlia, se vuoi il pane. Ma Claudia é perfetta. Cazzo. Frusta. Non c'è stato bisogno di insegnarle niente. É come uscita fuori dalla pasta madre. Mi sento lievitare. Adesso lo so che cosa significa essere felici. Adesso lo so. É la paura, la certezza, che quel grosso cazzo di gomma mi penetrerá. Anche il desiderio, in fin dei conti. Soprattutto il desiderio.

martedì 31 marzo 2009

1022 giorni

Sono una cagna. Sono la cagna del premier. Non lo ero ma lo sono diventata. Lo sono diventata per amore, lo sono diventata per Nicola. Quando l'ho visto sabato sera, sulla sedia a rotelle, invecchiato, consumato, rovinato, sconfitto, distrutto dall'ironia della vita e dell'amore non ho potuto fare a meno di staccarmi dalle altre. Lui si é alzato dalla carrozzella, ha fatto qualche passo verso di me ed io l'ho abbracciato. Per non farlo cadere, per proteggerlo. Poi ci baciavamo. Non so perché, non l'ho capito, ma mi sentivo in un'altra vita, in un'altra stanza, in una dimensione parallela. Erano 1022 giorni precisi che non ci vedevamo, non ho mai smesso di contare, dentro di me, i giorni. Ricordo ancora quella mattina. Io che andavo a fare il master in moda e stilismo a Milano. La notte che lui passó a casa mia, la notte in cui non smettemmo un solo istante di piangere, nessuno dei due, nemmeno mentre facevamo l'amore. Poi quell'assurda promessa. Di aspettare la fine del master, per capire, per capirci, dicevo io. E lo so che lui mi aspettava, al caldo di Palermo, mentre io conoscevo stilisti finti gay, giornalisti arrapati, vecchie signore campionesse di lifting e infedeltá. Poi tornai in Sicilia. un pó schifata, un pó cambiata, in realtá piena di vergogna. Vergogna per non essere diventata l'artista che volevo diventare, vergogna per averlo lasciato lí, il nostro amore. Solo a ingiallire. Quella volta che mi chiamó. Qualcuno gli aveva detto che ero tornata. MI AMI? Chiedeva disperato, piangendo. SÍ, SÍ MA NON POSSIAMO STARE INSIEME. Gli dicevo io, e cancellai il suo numero dal telefonino. Poi le cose andarono veloci dopo le elezioni. Adesso Giacomo Sacfidi, il premier, dice di avermi perdonato. Ero la sua preferita ma sono diventata la sua cagna. Lo sono diventata per amore.

Sabrina

Cercavo di schivare i colpi per proteggere i denti, che ora a Palermo, nel mezzo della sommossa un dentista non é facile trovarlo. Crecavo di proteggere i denti perché il nervo scoperto dá un grande dolore, ma di certo meno grande e meno doloroso di quello che sta provando il mio cuore ora. Ho visto Sabrina. La mia Sabrina, ed era nuda, bellissima e nuda, con le altre donne del premier, su, nella villa gigantesca di San Martino. Fu lei a riconoscermi per prima. Io, dopo tutto questo tempo, un relitto d'uomo. Per giunta sulla sedia a rotelle, ancora sotto effetto degli oppiacei che avrebbero dovuto portarmi alla morte. Il resto é ancora piú strano e incredibile. Io che mi alzo in piedi, nella sala colorata, davanti al premier incredulo, Sabrina che mi abbraccia e mi avvolge con la sua pelle nuda e il profumo sconcio da puttana che si mescola all'odore della saliva delle altre ragazze, Sabrina che mi bacia - é piú forte di lei - e il suo bacio che sa di lacrime. Lacrime profonde, lacrime amare di rimorso, lacrime amare come il chinotto, per la mia lingua assetata. Poi il premer si incazza di brutto. GENIO O NO IO QUESTO LO FACCIO A PEZZI. Mi strappano con la forza da Sabrina. Mi riempiono di botte. Io penso al tempo. A quanto tempo dall'ultima volta che ci siamo visti. Mi sembra poco in effetti, poco tempo, ma di un'altra vita, non della mia. Il Premier schiaffeggia Sabrina, le dá un morso sul collo, feroce. PORTATELO VIA! NON LO VOGLIO PIÚ VEDERE! Urla a Franz e agli altri camerati. Ed ecco che mi ritrovo qua fuori, col freddo pungente di San Martino e una pioggerella gelida, mentre i miei amici mi piacchiano senza pietá. HAI ROVINATO TUTTO! Piagniucola Franz. Io penso solo a lei, loro non capiscono? Se mi ammazzano mi fanno un piacere.

lunedì 30 marzo 2009

Insurrezionalismo.

Mi chiedo cosa penserebbero i veri insurrezionalisti della mia insurrezione. Probabilmente la schiferebbero. Non é molto rivoluzionaria, la mia insurrezione. Non lo é perché non credo nella gente. Va bene l'avanguardia, ma la gente non vuole la libertá. Non la gente comune. Non adesso, non piú. C'è qualcosa di pauroso e terribile nella libertá, che atterrisce e spinge a votare ai mostri. Siete mostri in mezzo ai mostri. Questo penseranno i veri insurrezionalisti. Questo lo penso anche io, pur non essendo, almeno da sveglio, per la gioia armata.

La gioia armata.

Giorni fa, mentre guardavo un autobus della linea AMAT 230, che affondava sbuffando a largo di Carini mi resi conto che avevo sbagliato tutto. Lasciai la borsa qualche metro dietro di me e i sacchetti col riso e le lenticchie e mi sedetti sulla spiaggia. L'acqua entrava dai finestrini e la vettura gorgogliava stancamente mentre il sole del pomeriggio si faceva piú tenue all'orizzonte. ABBIAMO SBAGLIATO TUTTO. Pensai. I gruppi di affinitá, gli espropri dai notai, alle poste, l'azione diretta, tutto quello per cui ho lottato e combattutto da quando avevo 16 anni. Se davvero la societá senza stato, senza leggi senza potere, é questa, per cosa ho dato la vita? La gioia armata. No, non é gioia, é noia. Perché adesso qui c'è davvero l'insurrezione e la gente scappa. Lo spontaneismo non ha piú senso, vincono i gruppi gerrachizzati. Guardo adesso l'acqua che avvolge l'autobus, arriva ormai allo specchietto retrovisore del conducente, anche il sole sta scomparendo. Cosi come é scomparsa in me la gioia armata. Dovrei tornare a casa, alla mia vita non piú borghese, che ho odiato che ho usato come paravento alle riunioni clandestine, senza che mio marito sospettasse nulla, e poi la mattina un bacio e al lavoro. Gli raccontavo che erano riunioni sindacali, ma lui non sapeva, povero Luca! 9 anni insieme e nemmeno una pallida idea di chi io sia veramente. L'autobus é scomparso e anche il sole. Comincio a sentire freddo. Tiro su il colletto della blusa e raccolgo i sacchetti col riso e le lenticchie. Torneró a casa. Stanotte faró l'amore con Luca, lo stringeró a me fino alla fine. Voglio cambiare, sono giá cambiata, cambieró ancora di piú. Faró un figlio, diventeró una persona normale e forse tra qualche anno gli racconteró tutto e lui capirá. Respiro la nottte e sa di alghe.

giovedì 19 marzo 2009

ASIAAA!!!

Ogni viaggio in Asia mi sconvolge, mi cambia dentro, scardina le mie certezze, incendia, esplode, spaventa.
Ho passato 3 settimane in un altro pianeta, straniero in terra straniera, ed é stato bellissimo.
Unici miei compagni di viaggio Moreno e la mia Leica, opposti vertici della mia (a tratti noiosa) medietá. Vulcanico e precipitoso il primo quanto affidabile e silenziosa la seconda.
Sono stato a Bangkok, Krabi, nell'isola Phi Phi e Phuket, a Manila, Calbayog city, Almagro, Tacloban, Ormoc e Cebu. Ho vissuto in una capanna di bambú con una famiglia di 8 persone, ho mangiato ricci di mare con uno strano tubero chiamato balanhoi, ho bevuto rum filippino su una barca nel mezzo della barriera corallina, ho visto meduse grandi quanto la mia scrivania e ricevuto il morso di una scimmia.
Il sud est asiatico mi ha cambiato per sempre.
Non si tratta solo di quello che ho fatto o che ho visto, é qualcosa di molto piú profondo.
La consapevolezza che esiste nel mondo una maniera di vivere e affrontare le cose completamente diversa é qualcosa che mette in dubbio ogni certezza.
Questo é stato un viaggio definitivo.
Lo so. Dentro resteró sempre palermitano, lo resterei anche sulla Luna e non potrei scrivere di nessun altro luogo, peró adesso sono un palermitano diverso, grandangolare direi, e forse ad occhio di pesce.

mercoledì 18 marzo 2009

Polvere di stella

Masao é un genio, ma é anche il figlio di puttana con piú sangue freddo che vi possa capitare di conoscere. Il suo vero nome non lo conosciamo, né il suo passato, dove ha studiato, chi sono i suoi genitori, per quale squadra tifa. Non sappiamo niente di lui. prima dell'insurrezione non era in contatto coi gruppi eversivi di cui abbiamo conoscenza e gli sbirri non l'hanno mai schedato. PERCHÉ SONO IL MIGLIORE. Dice lui. NESSUNO PUÓ STARMI DIETRO. Afferma riferendosi alla sua machiavellica maestria coi computer. In realtá anche il suo nomignolo "Masao", é qualcosa che lui stesso ha creato dopo le elezioni. Casa sua, in via Monfenera, é vuota, a parte i tappeti di schede madri modifcate e di circuiti integrati assemblati con furore alchemico. Insomma, su di lui non sappiamo niente, peró una cosa é certa: senza il suo aiuto non avremmo potuto assemblare la cassa di detonazione e di conseguenza non avremmo potuto portare avanti il piano POLVERE DI STELLA. Sappiamo che tu non sei un dottore, un vero dottore, di quelli laureati, ma sei l'unico che puó fare qualcosa per lui. Si sta spegnando, non vedi? Ha fatto una cazzata a mescolare sciroppo di metadone con vodka e lorazepam, ma siamo sicuri che non voleva farla finita. La lettera che la lasciato é fuorviante e in ogni caso non fa alcun riferimento all'azione politica dei giorni scorsi. Forse sarebbe il caso di trovare questa Sabrina, e vedere se puó darci qualche notizia in piú. La foto é rovinata, ma é l'unico effetto personale che abbiamo trovato a casa sua, crede che possa esserle utile? Va bene, ce ne andiamo, ma per favore, faccia il possibile per rimetterlo in sesto. Abbiamo bisogno di lui e ne abbiamo bisogno ora.

Estote parati

E pensare che prima ero pittore. Seccia mi firmavo. Dipingevo grandi tele con teste umane stilizzate dentro vasi da fiori. Non era un brutto lavoro e ci campavo bene. Poi ci furono le elezioni, a cui seguí l'insurrezione e le cose cambiarono. Internet non funzionava piú, i telefonini erano senza copertura, i negozi sotto casa devastati e razziati, l'elettricitá a singhiozzo e ronde armate si aggiravano per la cittá commettendo i crimini piú atroci nell'impunitá. Molte di quelle ronde erano politicizzate, altre no. Non so chi fossero quelli che entrarono a casa mia. Avevano sciarpe rosa-nero e stivali Prada. Mi legarono i polsi con del fil di ferro al tubo del cesso, in maniera da coartarmi in una posizione a 90 gradi. Intanto devastavano i mobili, le tele, la casa del gatto. Presero anche mia madre, costretta a letto dai tempi dell'ictus, e per gioco la scaraventarono fuori dalla finestra con tutto il materasso. Intanto cantavano a squarciagola canzoni di Venditti, quasi fosse una gita scolastica e qualcuno aveva anche una bella voce. Una volta che la casa fu setacciata da cima a fondose ne andarono portando con sé gli oggetti di valore. Io rimasi legato nel bagno, sconvolto, seminudo, infreddolito. Sentivo le mani che perdevano sensibilitá, ma la stretta era troppo forte, non riuscivo a liberarmi. Dopo circa 24 ore svenni per la sete. Mi trovarono i figli dei vicini. Erano andati in gita a Tindari proprio quel giorno, e al loro ritorno avevano trovato i genitori morti e la casa distrutta. Il sangue aveva smesso di circolare in parte delle mani. La sinistra era andata e la amputarono con un seghetto; la cancrena non risparmió nemmeno mignolo e pollice della destra, lasciandomi impresso nella mano un costante, ridicolo, saluto di boy-scout.

mercoledì 11 marzo 2009

In memoria di Tiny Tim.

Mellone ghiacciato

Seguo una signora abbigliata con un vestito dalla foggia bizzarra, fuori moda, di alpaca. La seguo perché ha un sacchetto bianco tra le braccia, un sacchetto la cui forma rotonda tradisce il contenuto. Io uccideró questa donna se oserá resistere. Io voglio l'anguria che c'è dentro il sacchetto. La voglio tutta per me perché ho fame. Le 3 dita scheletriche che rimangono intere nella mia mano destra stringono forti il manico zigrinato del coltello che usavo per pescare i ricci. La signora gira per via Ugdulena, imbocca una strettoia che sbuca in una ripida discesa asfaltata solo per metá. ECCO. Penso. É IL MOMENTO. Faccio un salto con l'intenzione di proiettarmi davanti alla donna, cercando di mantenere una direzione obliqua che mi permetta di non atterrare nella zona sterrata, senza asfalto. Spicco il volo ma il mio corpo senza forza mi tradisce sul piú bello, facendo piegare malamente la gamba destra e imprimendo una rotazione del tutto scoordinata che mi spinge nel precipizio sterrato della discesa piú ripida. Cado insomma. Come un sacco di patate mi allavanco e sbatto pure la spalla. CHE SUCCEDE? Sbotta la signora. Poi si ritrae inorridita. Io le porgo la mano, per minaccia, ma mi accorgo dal suo sguardo che qualcosa non va. Ma sí, lo sapevo! Dovevo capirlo! Il coltello, cazzo, il coltello che stringevo, durante la caduta, mi é scivolato di mano e l'ho riafferrato un momento prima di atterraci di sopra. L'ho afferrato dalla parte sbagliata.
La signora ed io guardiamo le 3 dita scheletriche della mia destra che giacciono inerti tra l'asfalto e la polvere. Dal moncherino zampilla il sangue. POVERA CREATURA! Esclama la donna. Io la guardo in cagnesco ma lei ha giá deciso. VIENI, TI AIUTO IO, SONO INFERMIERA. Mi carica sulle spalle, é una donna forte, mi porta via.

Fosforo.

A Bagheria. Entrammo nella fabbrica Chemilplas che era notte. Franz aveva la formula e uno sguardo allafannato. Non eravamo poi molti, forse 15, ma ben addestrati. Coi nostri anfibi e le cinture comprate di sgarrubbo in via Lattarini.
AI VOSTRI POSTI! NON C'É MOLTO TEMPO.
Salii su una rampa che dava su un container pieno di fosforo bianco.
Qualcuno armeggiava coi gas, un ragazzetto figlio di un noto politico aveva preso fuoco accidentalmente e correva nell'atrio della Chemilplas come una lucciola anfetaminica.
L'ABBIAMO PERSO.
Mi sussurra Cris cercando di aprire un portello a tenuta stagna.
Intanto Franz si aggirava come un direttore d'orchestra, muovendosi un pó qua e un pó lá, dando ordini, incoraggiando i camerati, rimproverando taluno, esortando talaltro.
Finalmente arrivó Masao, il cervellone, col suo pc portatile modificato che sembrava un carrarmato, montanto com' era su una barella rubata da chissá quale stanza d'ospedale. Si connesse alla rete, riuscí persino a fare accendere i compressori sfruttando un generatore d'emergenza.
Io svuotai il serbatoio per metá, e mi sentii fiero quando Franz mi accarezzó sulla testa rasata.
IL DETONATORE É OK.
Esclamó Masao a un certo punto. Con un moto Ape due camerati trasportarono fuori l'enorme ordigno chimico che avevamo assemblato in tempo di record.
SOLO 3 ORE E 20 MINUTI.
Si complimentava Franz il giorno dopo, nel pomeriggio, quando dal cielo inizió la pioggia di pulviscolo bianco. Bevevamo birra alla sede mentre la gente attorno a noi urlava per le ustioni chimiche.
QUESTO É SOLO L'INIZIO, CAZZO.
Sentenziava Franz ormai un pó brillo. Masao si strofinava le mani mentre Cris gli preparava lo sciroppo di metadone.
Io guardavo quella strana neve bianca che scendeva dal cielo e mi sentivo figo. Proprio figo.

mercoledì 11 febbraio 2009

La versione porno di I've benn loving you too long.

Versione allucinate della meravigliosa canzone portata al successo dal mai troppo compianto otis redding. In questa curiosa cover Ike & Tina si lasciano davvero andare (aspettate la fine del video e capirete!).

lunedì 2 febbraio 2009

Margherita con funghi

Ordino una pizza in via Ximenes e vedo i ragazzi sui motorini, senza casco, che impennano e buttano voci. Penso che dovrei essere uno di loro ma che non saró mai uno di loro. Ho paura. Ho paura di tutto quindi preferisco non fare niente. Oggi per esempio sono rimasto tutto il giorno a casa a leggere un libro di Calvino. Poi avevo fame e visto che mia madre fa il turno di notte e mi ha lasciato i piccioli sulla scrivania ho deciso di scendere per una pizza. La cittá é strana dopo gli ultimi capovolgimenti politici. La gente si comporta come se fosse il suo ultimo giorno sulla terra. É tutto irreale. O forse é solo l'odore di plastica bruciata che mi stordisce. Ordino una margherita con funghi e mi siedo al tavolino ad aspettare. Dentro di me spero che il pizzaiolo faccia presto, giá le facce delle due signore che aspettano dopo di me mi provocano una strana sensazione alla pancia. Cosí mi concentro sulle mie mani. Le dita un pó pelose mi piacciono, sono belle dita lunghe da poeta malinconico. Guardo le mie mani e un fiocco bianco che scende dondolando dal cielo. Sembra neve, ma non é tempo di neve malgrado sia inverno. Il fiocco candido a contatto con la pelle provoca una reazione di formidabile bruciore, una specie di prurito moltiplicato per mille, un morso di cento insetti geneticamente modificati. Poi inizia a nevicare sul serio. Balzo dentro la pizzeria gridando. Intanto passa la motocicletta di poco fa il ragazzino che la guida adesso la faccia gonfia come un melone, peró butta voci come prima. Forse con un tono piú stridulo. Col cartone della pizza sulla testa riesco ad arrivare al portone.Sono a salvo, non mi pare vero.Con la coda dell'occhio vedo una delle signore della pizzeria sola nella tempesta, sembra che lotti coi fantasmi.Non ce la puó fare.

Vita da Premier

Mi faccio chiamare premier perché sono il capo e visto che sono il capo ho il potere. Ieri all'entrata della mia villa a San Martino c'era un gruppetto di sfollati: una madre e due bambini, di cui uno pesantemente ustionato di sicuro dalle piogge acide. Andavano in giro su un moto ape modificato e sembravano sporchi e affamati. Bé, sapete che ho fatto? Li ho accolti a casa. Certo Anna ha storto un pó la bocca, anche Katia non era contenta, Sabrina invece li aiutó da subito. Li fece accomodare in cucina, dove gli serví gli avanzi del giorno prima: pasta alla cernia e canapé con uova di quaglia, poi aiutó la madre a pulire i bambini. Il piccolo era veramente messo male, aveva la metá del corpo piena di ustioni chimiche. Insomma, si sono fatti il bagno, poi gli ho anche detto SABRINA DAGLI QUALCHE TUO VESTITO PULITO. E Sabrina allora ha storto il naso anche lei. Ci tiene tanto ai suoi vestiti, ma io volevo metterla alla prova e poi non avevo di meglio da fare per passare il tempo. Sabrina non voleva dargli alcun vestito cosí la obbligai a spogliarsi davanti a tutti e dargli i suoi. Lei piangeva e le altre ridevano. Mi faceva pena, alla fine è solo una ragazzina, una ragazzina che IO ho salvato da una vita mediocre e ordinaria; l'ho fatta diventare la donna del premeir e dovrebbe essermene grata, invece continua col suo carattere selvaggio e capriccioso. Sará per questo che é la mia preferita (insieme ad Anna). Insomma Sabrina inizió a gridare, mentre gli sfollati si stringevano tra loro, spaventati. Alla fine si spoglió e diede i vestiti alla donna. SARAI CONTENTA ADESSO! Le rinfacció. Avevo vinto, avevo dimostrato un'altra volta il mio potere, cosí chiamai Aldo, gli feci decapitare madre e figli e offrii le loro teste a Sabrina su un vassoio d’argento. Poi scopammo.