martedì 31 marzo 2009

1022 giorni

Sono una cagna. Sono la cagna del premier. Non lo ero ma lo sono diventata. Lo sono diventata per amore, lo sono diventata per Nicola. Quando l'ho visto sabato sera, sulla sedia a rotelle, invecchiato, consumato, rovinato, sconfitto, distrutto dall'ironia della vita e dell'amore non ho potuto fare a meno di staccarmi dalle altre. Lui si é alzato dalla carrozzella, ha fatto qualche passo verso di me ed io l'ho abbracciato. Per non farlo cadere, per proteggerlo. Poi ci baciavamo. Non so perché, non l'ho capito, ma mi sentivo in un'altra vita, in un'altra stanza, in una dimensione parallela. Erano 1022 giorni precisi che non ci vedevamo, non ho mai smesso di contare, dentro di me, i giorni. Ricordo ancora quella mattina. Io che andavo a fare il master in moda e stilismo a Milano. La notte che lui passó a casa mia, la notte in cui non smettemmo un solo istante di piangere, nessuno dei due, nemmeno mentre facevamo l'amore. Poi quell'assurda promessa. Di aspettare la fine del master, per capire, per capirci, dicevo io. E lo so che lui mi aspettava, al caldo di Palermo, mentre io conoscevo stilisti finti gay, giornalisti arrapati, vecchie signore campionesse di lifting e infedeltá. Poi tornai in Sicilia. un pó schifata, un pó cambiata, in realtá piena di vergogna. Vergogna per non essere diventata l'artista che volevo diventare, vergogna per averlo lasciato lí, il nostro amore. Solo a ingiallire. Quella volta che mi chiamó. Qualcuno gli aveva detto che ero tornata. MI AMI? Chiedeva disperato, piangendo. SÍ, SÍ MA NON POSSIAMO STARE INSIEME. Gli dicevo io, e cancellai il suo numero dal telefonino. Poi le cose andarono veloci dopo le elezioni. Adesso Giacomo Sacfidi, il premier, dice di avermi perdonato. Ero la sua preferita ma sono diventata la sua cagna. Lo sono diventata per amore.

Sabrina

Cercavo di schivare i colpi per proteggere i denti, che ora a Palermo, nel mezzo della sommossa un dentista non é facile trovarlo. Crecavo di proteggere i denti perché il nervo scoperto dá un grande dolore, ma di certo meno grande e meno doloroso di quello che sta provando il mio cuore ora. Ho visto Sabrina. La mia Sabrina, ed era nuda, bellissima e nuda, con le altre donne del premier, su, nella villa gigantesca di San Martino. Fu lei a riconoscermi per prima. Io, dopo tutto questo tempo, un relitto d'uomo. Per giunta sulla sedia a rotelle, ancora sotto effetto degli oppiacei che avrebbero dovuto portarmi alla morte. Il resto é ancora piú strano e incredibile. Io che mi alzo in piedi, nella sala colorata, davanti al premier incredulo, Sabrina che mi abbraccia e mi avvolge con la sua pelle nuda e il profumo sconcio da puttana che si mescola all'odore della saliva delle altre ragazze, Sabrina che mi bacia - é piú forte di lei - e il suo bacio che sa di lacrime. Lacrime profonde, lacrime amare di rimorso, lacrime amare come il chinotto, per la mia lingua assetata. Poi il premer si incazza di brutto. GENIO O NO IO QUESTO LO FACCIO A PEZZI. Mi strappano con la forza da Sabrina. Mi riempiono di botte. Io penso al tempo. A quanto tempo dall'ultima volta che ci siamo visti. Mi sembra poco in effetti, poco tempo, ma di un'altra vita, non della mia. Il Premier schiaffeggia Sabrina, le dá un morso sul collo, feroce. PORTATELO VIA! NON LO VOGLIO PIÚ VEDERE! Urla a Franz e agli altri camerati. Ed ecco che mi ritrovo qua fuori, col freddo pungente di San Martino e una pioggerella gelida, mentre i miei amici mi piacchiano senza pietá. HAI ROVINATO TUTTO! Piagniucola Franz. Io penso solo a lei, loro non capiscono? Se mi ammazzano mi fanno un piacere.

lunedì 30 marzo 2009

Insurrezionalismo.

Mi chiedo cosa penserebbero i veri insurrezionalisti della mia insurrezione. Probabilmente la schiferebbero. Non é molto rivoluzionaria, la mia insurrezione. Non lo é perché non credo nella gente. Va bene l'avanguardia, ma la gente non vuole la libertá. Non la gente comune. Non adesso, non piú. C'è qualcosa di pauroso e terribile nella libertá, che atterrisce e spinge a votare ai mostri. Siete mostri in mezzo ai mostri. Questo penseranno i veri insurrezionalisti. Questo lo penso anche io, pur non essendo, almeno da sveglio, per la gioia armata.

La gioia armata.

Giorni fa, mentre guardavo un autobus della linea AMAT 230, che affondava sbuffando a largo di Carini mi resi conto che avevo sbagliato tutto. Lasciai la borsa qualche metro dietro di me e i sacchetti col riso e le lenticchie e mi sedetti sulla spiaggia. L'acqua entrava dai finestrini e la vettura gorgogliava stancamente mentre il sole del pomeriggio si faceva piú tenue all'orizzonte. ABBIAMO SBAGLIATO TUTTO. Pensai. I gruppi di affinitá, gli espropri dai notai, alle poste, l'azione diretta, tutto quello per cui ho lottato e combattutto da quando avevo 16 anni. Se davvero la societá senza stato, senza leggi senza potere, é questa, per cosa ho dato la vita? La gioia armata. No, non é gioia, é noia. Perché adesso qui c'è davvero l'insurrezione e la gente scappa. Lo spontaneismo non ha piú senso, vincono i gruppi gerrachizzati. Guardo adesso l'acqua che avvolge l'autobus, arriva ormai allo specchietto retrovisore del conducente, anche il sole sta scomparendo. Cosi come é scomparsa in me la gioia armata. Dovrei tornare a casa, alla mia vita non piú borghese, che ho odiato che ho usato come paravento alle riunioni clandestine, senza che mio marito sospettasse nulla, e poi la mattina un bacio e al lavoro. Gli raccontavo che erano riunioni sindacali, ma lui non sapeva, povero Luca! 9 anni insieme e nemmeno una pallida idea di chi io sia veramente. L'autobus é scomparso e anche il sole. Comincio a sentire freddo. Tiro su il colletto della blusa e raccolgo i sacchetti col riso e le lenticchie. Torneró a casa. Stanotte faró l'amore con Luca, lo stringeró a me fino alla fine. Voglio cambiare, sono giá cambiata, cambieró ancora di piú. Faró un figlio, diventeró una persona normale e forse tra qualche anno gli racconteró tutto e lui capirá. Respiro la nottte e sa di alghe.

giovedì 19 marzo 2009

ASIAAA!!!

Ogni viaggio in Asia mi sconvolge, mi cambia dentro, scardina le mie certezze, incendia, esplode, spaventa.
Ho passato 3 settimane in un altro pianeta, straniero in terra straniera, ed é stato bellissimo.
Unici miei compagni di viaggio Moreno e la mia Leica, opposti vertici della mia (a tratti noiosa) medietá. Vulcanico e precipitoso il primo quanto affidabile e silenziosa la seconda.
Sono stato a Bangkok, Krabi, nell'isola Phi Phi e Phuket, a Manila, Calbayog city, Almagro, Tacloban, Ormoc e Cebu. Ho vissuto in una capanna di bambú con una famiglia di 8 persone, ho mangiato ricci di mare con uno strano tubero chiamato balanhoi, ho bevuto rum filippino su una barca nel mezzo della barriera corallina, ho visto meduse grandi quanto la mia scrivania e ricevuto il morso di una scimmia.
Il sud est asiatico mi ha cambiato per sempre.
Non si tratta solo di quello che ho fatto o che ho visto, é qualcosa di molto piú profondo.
La consapevolezza che esiste nel mondo una maniera di vivere e affrontare le cose completamente diversa é qualcosa che mette in dubbio ogni certezza.
Questo é stato un viaggio definitivo.
Lo so. Dentro resteró sempre palermitano, lo resterei anche sulla Luna e non potrei scrivere di nessun altro luogo, peró adesso sono un palermitano diverso, grandangolare direi, e forse ad occhio di pesce.

mercoledì 18 marzo 2009

Polvere di stella

Masao é un genio, ma é anche il figlio di puttana con piú sangue freddo che vi possa capitare di conoscere. Il suo vero nome non lo conosciamo, né il suo passato, dove ha studiato, chi sono i suoi genitori, per quale squadra tifa. Non sappiamo niente di lui. prima dell'insurrezione non era in contatto coi gruppi eversivi di cui abbiamo conoscenza e gli sbirri non l'hanno mai schedato. PERCHÉ SONO IL MIGLIORE. Dice lui. NESSUNO PUÓ STARMI DIETRO. Afferma riferendosi alla sua machiavellica maestria coi computer. In realtá anche il suo nomignolo "Masao", é qualcosa che lui stesso ha creato dopo le elezioni. Casa sua, in via Monfenera, é vuota, a parte i tappeti di schede madri modifcate e di circuiti integrati assemblati con furore alchemico. Insomma, su di lui non sappiamo niente, peró una cosa é certa: senza il suo aiuto non avremmo potuto assemblare la cassa di detonazione e di conseguenza non avremmo potuto portare avanti il piano POLVERE DI STELLA. Sappiamo che tu non sei un dottore, un vero dottore, di quelli laureati, ma sei l'unico che puó fare qualcosa per lui. Si sta spegnando, non vedi? Ha fatto una cazzata a mescolare sciroppo di metadone con vodka e lorazepam, ma siamo sicuri che non voleva farla finita. La lettera che la lasciato é fuorviante e in ogni caso non fa alcun riferimento all'azione politica dei giorni scorsi. Forse sarebbe il caso di trovare questa Sabrina, e vedere se puó darci qualche notizia in piú. La foto é rovinata, ma é l'unico effetto personale che abbiamo trovato a casa sua, crede che possa esserle utile? Va bene, ce ne andiamo, ma per favore, faccia il possibile per rimetterlo in sesto. Abbiamo bisogno di lui e ne abbiamo bisogno ora.

Estote parati

E pensare che prima ero pittore. Seccia mi firmavo. Dipingevo grandi tele con teste umane stilizzate dentro vasi da fiori. Non era un brutto lavoro e ci campavo bene. Poi ci furono le elezioni, a cui seguí l'insurrezione e le cose cambiarono. Internet non funzionava piú, i telefonini erano senza copertura, i negozi sotto casa devastati e razziati, l'elettricitá a singhiozzo e ronde armate si aggiravano per la cittá commettendo i crimini piú atroci nell'impunitá. Molte di quelle ronde erano politicizzate, altre no. Non so chi fossero quelli che entrarono a casa mia. Avevano sciarpe rosa-nero e stivali Prada. Mi legarono i polsi con del fil di ferro al tubo del cesso, in maniera da coartarmi in una posizione a 90 gradi. Intanto devastavano i mobili, le tele, la casa del gatto. Presero anche mia madre, costretta a letto dai tempi dell'ictus, e per gioco la scaraventarono fuori dalla finestra con tutto il materasso. Intanto cantavano a squarciagola canzoni di Venditti, quasi fosse una gita scolastica e qualcuno aveva anche una bella voce. Una volta che la casa fu setacciata da cima a fondose ne andarono portando con sé gli oggetti di valore. Io rimasi legato nel bagno, sconvolto, seminudo, infreddolito. Sentivo le mani che perdevano sensibilitá, ma la stretta era troppo forte, non riuscivo a liberarmi. Dopo circa 24 ore svenni per la sete. Mi trovarono i figli dei vicini. Erano andati in gita a Tindari proprio quel giorno, e al loro ritorno avevano trovato i genitori morti e la casa distrutta. Il sangue aveva smesso di circolare in parte delle mani. La sinistra era andata e la amputarono con un seghetto; la cancrena non risparmió nemmeno mignolo e pollice della destra, lasciandomi impresso nella mano un costante, ridicolo, saluto di boy-scout.

mercoledì 11 marzo 2009

In memoria di Tiny Tim.

Mellone ghiacciato

Seguo una signora abbigliata con un vestito dalla foggia bizzarra, fuori moda, di alpaca. La seguo perché ha un sacchetto bianco tra le braccia, un sacchetto la cui forma rotonda tradisce il contenuto. Io uccideró questa donna se oserá resistere. Io voglio l'anguria che c'è dentro il sacchetto. La voglio tutta per me perché ho fame. Le 3 dita scheletriche che rimangono intere nella mia mano destra stringono forti il manico zigrinato del coltello che usavo per pescare i ricci. La signora gira per via Ugdulena, imbocca una strettoia che sbuca in una ripida discesa asfaltata solo per metá. ECCO. Penso. É IL MOMENTO. Faccio un salto con l'intenzione di proiettarmi davanti alla donna, cercando di mantenere una direzione obliqua che mi permetta di non atterrare nella zona sterrata, senza asfalto. Spicco il volo ma il mio corpo senza forza mi tradisce sul piú bello, facendo piegare malamente la gamba destra e imprimendo una rotazione del tutto scoordinata che mi spinge nel precipizio sterrato della discesa piú ripida. Cado insomma. Come un sacco di patate mi allavanco e sbatto pure la spalla. CHE SUCCEDE? Sbotta la signora. Poi si ritrae inorridita. Io le porgo la mano, per minaccia, ma mi accorgo dal suo sguardo che qualcosa non va. Ma sí, lo sapevo! Dovevo capirlo! Il coltello, cazzo, il coltello che stringevo, durante la caduta, mi é scivolato di mano e l'ho riafferrato un momento prima di atterraci di sopra. L'ho afferrato dalla parte sbagliata.
La signora ed io guardiamo le 3 dita scheletriche della mia destra che giacciono inerti tra l'asfalto e la polvere. Dal moncherino zampilla il sangue. POVERA CREATURA! Esclama la donna. Io la guardo in cagnesco ma lei ha giá deciso. VIENI, TI AIUTO IO, SONO INFERMIERA. Mi carica sulle spalle, é una donna forte, mi porta via.

Fosforo.

A Bagheria. Entrammo nella fabbrica Chemilplas che era notte. Franz aveva la formula e uno sguardo allafannato. Non eravamo poi molti, forse 15, ma ben addestrati. Coi nostri anfibi e le cinture comprate di sgarrubbo in via Lattarini.
AI VOSTRI POSTI! NON C'É MOLTO TEMPO.
Salii su una rampa che dava su un container pieno di fosforo bianco.
Qualcuno armeggiava coi gas, un ragazzetto figlio di un noto politico aveva preso fuoco accidentalmente e correva nell'atrio della Chemilplas come una lucciola anfetaminica.
L'ABBIAMO PERSO.
Mi sussurra Cris cercando di aprire un portello a tenuta stagna.
Intanto Franz si aggirava come un direttore d'orchestra, muovendosi un pó qua e un pó lá, dando ordini, incoraggiando i camerati, rimproverando taluno, esortando talaltro.
Finalmente arrivó Masao, il cervellone, col suo pc portatile modificato che sembrava un carrarmato, montanto com' era su una barella rubata da chissá quale stanza d'ospedale. Si connesse alla rete, riuscí persino a fare accendere i compressori sfruttando un generatore d'emergenza.
Io svuotai il serbatoio per metá, e mi sentii fiero quando Franz mi accarezzó sulla testa rasata.
IL DETONATORE É OK.
Esclamó Masao a un certo punto. Con un moto Ape due camerati trasportarono fuori l'enorme ordigno chimico che avevamo assemblato in tempo di record.
SOLO 3 ORE E 20 MINUTI.
Si complimentava Franz il giorno dopo, nel pomeriggio, quando dal cielo inizió la pioggia di pulviscolo bianco. Bevevamo birra alla sede mentre la gente attorno a noi urlava per le ustioni chimiche.
QUESTO É SOLO L'INIZIO, CAZZO.
Sentenziava Franz ormai un pó brillo. Masao si strofinava le mani mentre Cris gli preparava lo sciroppo di metadone.
Io guardavo quella strana neve bianca che scendeva dal cielo e mi sentivo figo. Proprio figo.