mercoledì 18 marzo 2009
Estote parati
E pensare che prima ero pittore. Seccia mi firmavo. Dipingevo grandi tele con teste umane stilizzate dentro vasi da fiori. Non era un brutto lavoro e ci campavo bene. Poi ci furono le elezioni, a cui seguí l'insurrezione e le cose cambiarono. Internet non funzionava piú, i telefonini erano senza copertura, i negozi sotto casa devastati e razziati, l'elettricitá a singhiozzo e ronde armate si aggiravano per la cittá commettendo i crimini piú atroci nell'impunitá. Molte di quelle ronde erano politicizzate, altre no. Non so chi fossero quelli che entrarono a casa mia. Avevano sciarpe rosa-nero e stivali Prada. Mi legarono i polsi con del fil di ferro al tubo del cesso, in maniera da coartarmi in una posizione a 90 gradi. Intanto devastavano i mobili, le tele, la casa del gatto. Presero anche mia madre, costretta a letto dai tempi dell'ictus, e per gioco la scaraventarono fuori dalla finestra con tutto il materasso. Intanto cantavano a squarciagola canzoni di Venditti, quasi fosse una gita scolastica e qualcuno aveva anche una bella voce. Una volta che la casa fu setacciata da cima a fondose ne andarono portando con sé gli oggetti di valore. Io rimasi legato nel bagno, sconvolto, seminudo, infreddolito. Sentivo le mani che perdevano sensibilitá, ma la stretta era troppo forte, non riuscivo a liberarmi. Dopo circa 24 ore svenni per la sete. Mi trovarono i figli dei vicini. Erano andati in gita a Tindari proprio quel giorno, e al loro ritorno avevano trovato i genitori morti e la casa distrutta. Il sangue aveva smesso di circolare in parte delle mani. La sinistra era andata e la amputarono con un seghetto; la cancrena non risparmió nemmeno mignolo e pollice della destra, lasciandomi impresso nella mano un costante, ridicolo, saluto di boy-scout.
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