domenica 26 ottobre 2008

Guerra.

Se fossi un vero dottore saprei curare la gente, ma non sono un vero dottore, quindi mi limito a non farla morire. Faccio quello che posso. Ho solo fatto un corso di pronto soccorso, niente di che, ma per suturare una ferita mi basta. Non ci vuole grande arte. Oggi mi hanno portato questa donna. Doveva avere una trentina d'anni. Stringeva ancora tra le mani due sacchetti pieni di riso e pasta. Tutto mischiato. Comprato al mercato nero in corso Olivuzza, ne sono certo. Aveva la fede al dito. Non so perché ma mi fisso sempre su questo particolare. Quando la posarono sul tavolo non sembrava granché ferita. La giro e la rigiro, ma non vedo quarci o fori di pallottole. Le tocco la nuca, con precauzione. Spesso quando ti sparano alla nuca le pallottole sbattono sulle ossa del cranio e non fuoriescono dall'altro lato. In quel caso hai buone possibilitá di salvarti. Magari con solo un'emiparesi facciale. La donna peró non presentava ferite alla testa. Non sono un dottore e non posso fare una diagnosi, ma mi rendevo perfettamente conto che il cuore batteva sempre piú piano. Quasi impercettibile. I suoi capelli erano tinti, se le vedeva la ricrescita bianca e le dita che stringevano i sacchetti perdevano la loro forza. La sua pelle perdeva colore. A vista d'occhio. non sapevo che fare e le iniziai una disperata respirazione artificiale. Quando posai le labbra sulle sue mi assalí una zaffata di orribile odore. Vedevo il suo petto alzarsi e abbassarsi ma mi resi conto che era giá morta. Mi sedetti e accesi una sigaretta. Non sono un vero dottore ma se qualcuno mi crepa tra le braccia mi sento male lo stesso. Dovrei farci l'abitudine perché questa é una vera e propria guerra. Palermo é in guerra contro se stessa, io non sono un vero dottore e faccio una vita del cazzo.

lunedì 20 ottobre 2008

Il mio sogno palermitano.

Il mio sogno palermitano l'ho realizzato e adesso posso anche morire contento. Mi chiamo Francesco Scalia e tutti mi conoscono col mio soprannome Franz. La mia passione piú grande é sempre stata quella per le armi. Sin da piccolo. Quando mio nonno mi portava a caccia con lui amavo l'odore dell'olio che lubrificava il suo fucile, e quel rumore assordante e il movimento violento del rinculo che veniva assorbito dalle spalle possenti. Mio padre e mia madre non volevano che andassi , ma io piangevo finché non si convincevano. Quegli stronzi dei miei genitori, sessantottini di merda, fricchettoni. Passó il tempo e giá mio nonno mi faceva sparare quando iniziai a capire bene come va il mondo. Ad una bancarella in via Roma comprai una copia sbrindellata di un libricino che mi avrebbe cambiato la vita: Orientamenti di Julius Evola. Da allora feci un pó il giro di tutte le organizzazioni politiche della cittá, quelle di estrema destra, ovviamente. Passó il tempo ma mi resi conto che non era quella la mia strada, troppe parole, troppi compromessi. Mi chiudevo in me stesso, mi rattristavo. Fu allora che conobbi una ragazza. Il suo nome era Alba, aveva un naso pronunciato ma delle tette fantastiche. Grazie a lei capii che non dovevo seguire gli altri, ma dovevano essere gli altri a seguire me. Iniziai cosí a lavorare come un forsennato e presi anche a studiare ju-jitsu. Coi soldi che mettevo da parte compravo armi. Poi anche Alba imparó a sparare. Facevamo l'amore distesi su un letto di pistole e fucili da caccia. Poi andó via con una borsa di studio e non tornó mai. Intanto l'arrivo dell'insurrezione non mi colse impreparato. Adesso ho una decina di camerati da dirigere, non ho piú tempo di pensare ad Alba. Adesso sparo sulla gente, non piú sugli animali. Sparo e uccido.

sabato 18 ottobre 2008

Nicola dal cuore d'oro.


Di tutti i miei amici italiani che vivono in Corea del Sud Nicola é il meno pazzo. Per questo tutti gli altri fanno affidamento su di lui, e lui gli risolve i problemi.
Nicola é generoso e ci crede veramente.
Crede nei suoi studi e nella sua passione. Appena finita l'universitá (lingue orientali) é riuscito nella difficilissima impresa di farsi sganciare una borsa di studio (lottando contro il nepotismo e l'oscurantismo dell'italico mondo universitario) e quando il suo professore gli ha chiesto: Nicola dove vuoi fare il dottorato? Lui senza remore ha risposto: So dove NON voglio farlo. In Italia.
Ed é partito per l'estremo oriente.
Nicola parla il coreano e il giapponese, e li parla bene. Molto bene.
Ci crede.
Lui crede che un italiano puó essere felice vivendo in Corea del Sud. Anzi crede che in italiano vivrá piú felice in Corea del Sud piuttosto che in Italia, e pensandoci bene non posso dargli torto.
Ma torniamo all'uomo.
Nicola é una persona che ti mette di buon umore. Sorride sempre e mangia per tre. Non a caso ha messo su un pó di chili da quando vive a Seul.
Tutto questo mi permette di fare una veloce digressione sul cibo coreano, che, tanto per cominciare, é buonissimo.
In Corea si mangia a tutte le ore. La colazione solitamente é salata, non dissimile dal pranzo, dalla cena e dai vari spuntini. I dolci non incontrano i gusti dei coreani e le poche cose dolci che cucinano vengono consumate a mò di snack. Nicola mi ha confessato che i coreani, per esempio, odiano il cioccolato.
Il cibo tipico della Corea é il kimchi (una sorta di accompagnamento a tutti gli altri pasti, a base di foglie di verza lasciate macerare con aromi vari e peperoncino), normalmente lo portano prima del pasto vero e proprio insieme ad altri stuzzichini che vengono riportati quando terminano. Poi di solito si sceglie un piatto per ogni commensale e non é infrequente o maleducato provare direttamente dalle ciotole degli altri. Spessissimo vedrete al centro della tavola, una sorta di fornello, su cui viene cucinato il cibo direttamente dai commensali e Nicola in questo é un esperto.
L'unica cosa che non ha mai mangiato é il bushidan, la famosa zuppa di cane, che in Corea viene consumata in ristoranti spogli e oscuri, dai vetri appannati, quasi di nascosto, da attempati sognori che sperano che quel pasto rinvigorisca la perduta potenza sessuale.
Nicola adora i mandhu, cioé ravioloni ripieni (normalmente o di carne o di kimchi) e mi ha portato nel migliore ristorante di Seul. Un palazzo di due piani dove fabbricano i ravioli uno per uno a mano, con materiali di primissima scelta e rara maestria.
Nicola ha un cuore grande, dicevo, e non si nega mai quando si tratta di aiutare qualcuno.
É capace di rischiare tutto, anche la sua preziosissima borsa di studio e quindi il visto pur di aiutare un amico, e l'ha fatto.
Ah, dimenticavo, Nicola ha una minchia di dimensioni mostruose. Avreste dovuto esserci nelle saune coreane con noi, quando gli avventori indigeni si ritiravano imbarazzati al suo regale passaggio!

lunedì 6 ottobre 2008

Boogie Woogie - Luca's story.


Immaginate un ragazzo coreano, che vi guarda con un'espressione un pó perduta, fintamente fessa e poi inizia a sciorinare il dialetto romanesco piú trucido. Immaginatelo muscoloso e circonciso ed ecco che si materializzerá davanti i vostri occhi proprio lui: Luca, il protagonista di questo breve scritto.
Luca non lo sa ma gli devo molto.
La sua natura schietta e vernacolare mi ha fatto assaporare attimi di autentico cameratismo come non ne passavo dai tempi dei boy scouts (ebbene sí, ono stato un lupetto anch'io). Luca é molto piú italiano che coreano, a parte le fattezze orientali. I suoi genitori sono coreanissimi ma lui é nato e vissuto a Roma, dove la sua famiglia gestisce un ristorante ed un piccolo albergo. Alla maggiore etá ha deciso di fare il servizio militare a Seul (due anni di durissimi allenamenti e prove fisiche, non dimentichiamo che la Corea del Sud é ancora in guerra con la Corea del Nord) e lí é rimasto anche dopo, alla ricerca di se stesso, delle sue origini.
Con Luca mi sono divertito, ho potuto vedere da vicino la vita notturna di Seul e conoscere alcune usanze che altrimenti mi sarebbero state neglette in quanto occidentale.
Luca é ossessionato dalle donne. Nel giro di un mese ha spezzato il cuore della sua procace fidanzata e "conosciuto" altre due o tre pischelle facendo boogie woogie nei club trace o hip hop di Seul.
Ecco, quella del boogie woogie é stata una scoperta, che senza Luca non avrei mai fatto.
Dovete sapere che i coreani sono un popolo strano, molto conformista, assolutamente rispettoso delle regole e delle gerarchie, educato e parecchio riservato. Vi stupirete di quanto é pulita Seul, ma vi stupirete ancora di piú quando vi renderete conto che lí non c'è nemmeno un cestino dei rifiuti per le strade. Dove gettano al spazzatura i coreani? Questo forse é il grande mistero del mio viaggio in Corea.
Dicevo del carattere coreano. Beh, in effetti non é affatto facile pensare come possano arrivare a conoscersi e amarsi da quelle parti. Le occasioni d'incontro tra uomo e donna non sono molte e l'innata timidezza di quella gente li porta a lunghissimi innamoramenti e corteggiamenti impossibili, che spesso si risolvono in anni e anni di astinenze e rinuncie.
Ma ecco il boogie woogie.
Per fare boogie woogie gli ingredienti principali sono: una discoteca, un uomo e una donna. Dentro l'ingrediente 1 la musica imperversa a tutto volume mentre l'ingrediente 2 balla con la sua birra in mano. Ma ecco che entra in scena l'ingrediente 3, che si muove sinuosamente in pista. Premetto che la donna in Corea non va mai sola, la troverete sempre accompagnata da un'amica. Torniamo all'ingrediente 2. Si avvicina al 3 e inizia la sua danza di seduzione che consiste in questo: il ragazzo di turno si piazza dietro la ragazza e inizia a ballare strusciando il suo corpo su quello di lei. I due praticamente non si scambiano neanche uno sguardo (del resto la posizione lo impedisce). L'amica dell'ingrediente 3 la avverte se il corteggiatore é un bel tipo o un freak di merda e la cosa va avanti finché si finisce a un hotel a ore. In caso l'amica disapprovi, l'ingrediente 3 semplicemente va via e lascia il 2 solo in mezzo alla pista.
Ma in questo Luca non fallisce un colpo. Il boogie woogie lui l'affronta con spirito assolutamente italiano e sempre, sempre riesce a catturare una preda.
Il problema é quando, il giorno dopo, da sobrio si rende conto che la preda in realtá era lui e che l'ingrediente 3 era di qualitá decisamente scadente.
Ecco che a quel punto Luca scappa nella notte. Come un vampiro, alle prime luci dell'alba ricerca il suo sepolcro. Ma il giorno dopo, senza colpo ferire, eccolo di nuovo con la birra in mano nel mezzo di una pista da ballo, strofinandosi con le sconosciute.
Grande Luca. Sei un eroe e non lo sai. Sei veramente un eroe!

Moreno e Framore.


domenica 5 ottobre 2008

Framore o della dualitá.

Arrivo a Seul e mi accoglie Francesco, un ragazzo palermitano che non avevo mai visto in vita mia. Cambiamo i soldi, prendiamo un thé verde freddo in un negozietto che é al contempo caffetteria-giornalaio-tabaccaio e mini market e saliamo sul bus che ci porta verso il centro. Davanti a un bibimbap (riso con verdure, uovo e una salsa dolciastra e leggermente piccante) inizia un'amicizia. Francesco mi spiega di avere conosciuto la sua fidanzata coreana attraverso skype (ma in epoca non sospetta, quando ancora il software non era stato inglobato dalla multinazionale facente capo a eBay e Paypal) e mette in chiaro la sua passione per internet e lo sconfinato mondo del web. Il suo nickname é Framore e anche se io preferisco chiamarlo Ciccio devo dire che mai nome fu piú appropriato.
Analizzando un attimo in maniera assolutamente non scientifica l'etimologia del suo nickname vorrei sottolineare la seguente lettura:

FRAMORE = Fra(te)+Amore un composto endocentrico con riaggiustamento fonetico della vocale a.

In effetti la natura di Framore é duplice, ma di una duplicitá non contraddittoria.
Da una parte c'è la spinta mistica al raccoglimento interiore, alla ricerca di se stesso, al congiungimento col divino rappresentata dalla parola frate.
Al contempo la parola amore si fonde con la prima dando una connotazione non piú mistica e ascetica, invece passionale, terrena e in ultima istanza sensuale.
Possono convivere queste due facce della stessa medaglia? E se la risposta é affermativa, come potranno mai coesistere due spinte interiori cosí diverse e contraddittorie?
Per capirlo bisogna staccarsi dalla visione manicheistica occidentale che ci fa vedere il mondo diviso in categorie nette e contrapposte (bene-male, buono-cattivo, bianco-nero) ed abbracciare un punto di vista taoista, dove la complementaritá degli opposti é la pietra angolare dell'armonia cosmica che regola l'universo.
Ciccio é una persona tranquilla, va al tempio zen e crede nell'esistenza di Cristo, non mangia carne e medita nella stanzetta minuscola che ha preso in affitto in un pensionato universitario a Sinchon. Ciccio é una persona che ha raggiunto la pace interiore, quando peró non c'è lo sticchio nel mezzo. La seconda parte del suo nickname lo dice. Fr-Amore. L'amore gli sconvolge i piani, gli confonde le prospettive, lo sbatte di qua e di lá in un osceno ping pong lubrico in cui é solo la pallina dentro un gioco molto piú grande di lui.
E Ciccio soffre questa dualitá violenta, non si riconosce allo specchio, cerca conferma di sé fuori da sé, in corpi veloci e sguardi profondi, fatti di desiderio e istinto.
Ciccio soffre perché ancora non sa accettare la sua armonia, perché Ciccio é in armonia, Framore e Ciccio non sono due persone diverse ma la stessa identica persona. Ciccio é innocente ma non dell'innocenza in fondo colpevole del dottor Jeckill (che ha creato il mostro sfidando con la scienza le leggi divine), Ciccio é innocente e basta. Ciccio é sincero, ma la sua sinceritá é zen, non sceglie. Cambia seguendo delle leggi imperscutabili che FRA-more dovrebbe credere per fede, non opporvisi.

Non ho capito tutto questo da un semplice bibimbap. Ho frequentato Francesco assiduamente e con lui sono stato per la prima volta al ginchilban, una sorta di palazzo al cui interno ci sono saune, piscine di con bagni di acque a differenti temperature, posti dove rilassarsi e ricevere massaggi e finanche stanzoni in cui dormire placidamente cullati da profumi e aromi.
In Corea si dice che se vai al ginchilban con qualcuno quella persona diventerá un tuo amico speciale. Non so se Francesco l'abbia fatto apposta, ma adesso dovrá accollarsi le conseguenze...

sabato 4 ottobre 2008

Sentirsi un po' Moreno.

Moreno non é una persona, non é un personaggio, é una sensazione, un modo di fare.
Potrei dire: "Oggi mi sento un po' Moreno" , oppure "Se fossi un po' piú Moreno potrei anche innamorarmi di te". Non dovete peró farvi fuorviare dal fatto che la parola "moreno" in spagnolo é un aggttivo che significa "scuro", perché Moreno non é affatto un sentimento tenebroso o buio. Moreno é lo scatto di vitalismo appassionato, l'impeto che scardina le certezze, l'elettrone impazzito che diventa radioattivo. Sentirsi Moreno vuol dire esserci.
Ma non é solo questo.
Sentirsi Moreno vuol dire anche mettersi in gioco, e a volte non vale la pena mettersi in gioco se la posta non é abbastanza alta. Ma quando ti senti Moreno questo non lo penserai mai. Rischierai. Rischierai di scommettere tutto e ritrovarti con un pugno di pesos se vinci. O perdere tutto se sei sconfitto.
Moreno non vive senza regole. Moreno le regole le puó anche seguire e rispettare, ma é sicuro che non le rispetterá per sempre. Verrá il momento in cui succederá qualcosa, non si puó prevedere se sará una cosa importante o futile, e Moreno spezzerá tutte le catene e convenzioni sociali e manderá tutto all'aria, senza la paura del giudizio della gente e correndo il rischio di dovere ricominciare tutto da capo in un altro luogo.
Moreno é passione, fisicitá, sesso, istinto e molto pelo. Riuscirá mai a fermarsi? Riuscirá mai a terminare qualcosa? Riuscirá a dire di no? Risucirá a risparmiare? Riuscirá a rinunciare a vivere?

VIVERE VIVERE VIVERE
VIVERE
STOP
Adesso un massaggio
e un sorso di Jack Daniels
appena svegli
come a scuola
l'odore delle bonghe